Siamo in Aula e abbiamo appena ascoltato il discorso del Presidente del Consiglio, Enrico Letta. Un discorso senza sconti e chiaro negli indirizzi che vorrà dare all’azione di governo. In primo luogo rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, incentivi per il lavoro e sostegno alla piccola e media impresa. Sostegno per una nuovo ruolo della scuola e della formazione, e per gli aspetti connessi alla convivenza sociale. Il discorso è stato ampio, e non ha eluso gli aspetti politici che lo hanno determinato. Con tutta evidenza è un governo che non rientrava nei piani del centrosinistra. Il Partito democratico si accinge a sostenere ciò che per anni e per tutta la campagna elettorale aveva negato. Ma i risultati elettorali e la conduzione politica successiva al voto hanno determinato un esito a dir poco problematico.
Come molti parlamentari del centrosinistra, anch’io mi sono chiesto in questi giorni se avrei votato la fiducia al governo Letta. Sono andato in giro tra la nostra gente per ascoltarla. Ho incontrato molte persone sia nel giorno della Liberazione che nel fine settimana e con altri ancora mi sono confrontato nel corso delle assemblee organizzate dalla segreteria provinciale del Pd di Siena. Ho ascoltato la lista dei ministri, che in buona misura sposta le posizioni critiche sul governo con il Pdl in Parlamento alle prospettive politiche del Partito Democratico. Non è il governo di cambiamento che auspicavamo, ma è il governo possibile e si pone il fine di riscrivere alcune pagine fondamentali per la convivenza civile. I parlamentari del Pd voteranno la fiducia a questo governo, mettendoci la faccia senza infingimenti e retropensieri, ma con profonda insoddisfazione, perché per molti (e io tra questi) il Pdl è in larga parte responsabile della recente deriva politica ed economica del Paese. Nessuno può dire con certezza quale sarà la durata del governo, e lo stesso primo ministro ne ha circoscritto la durata alla possibilità di ottenere i risultati prefissi in un tempo definito (18 mesi?). Ma vale la pena provarci, perché nuove elezioni non avrebbero prodotto un quadro parlamentare meno frammentato. E in ogni caso le elezioni non sono una partita dove in assenza di un vincitore si smazzano le carte e si gioca la “bella”.
Dopo due mesi passati senza un governo ogni decisione diventa forzosa. Mi piacerebbe che si tenesse a mente chi in questi due mesi si è adoperato perché nascesse una maggioranza possibile, perché il Parlamento lavorasse, e perché la politica italiana potesse operare delle scelte tra opzioni alternative. Perché giungere a scelte inevitabili in questi anni è diventata la strategia politica di chi non ha voluto dichiarare i propri fini sin dall’inizio.
Come ampiamente discusso nell’accesa assemblea del gruppo, è necessario adesso tornare a una fase in cui la coerenza sia elemento fondamentale della strategia politica. Sarà infatti interessante vedere se il voto dei 101 franchi tiratori contro Prodi verrà pian piano dimenticato e derubricato a “questione politica”, e se molti si posizioneranno contro questo governo per intercettare i malumori della nostra base, senza però sostenere tesi alternative (eppure un governo istituzionale si poteva fare….).
Impegniamoci dunque pubblicamente perché in un tempo breve è possibile cambiare la legge elettorale, sbloccare le situazioni economiche e lavorative più critiche, e ridurre i costi della politica. Sono le cose che possono essere considerate bi-partisan e che sono largamente richieste dagli elettori di qualsiasi schieramento. Discutiamo nel merito dei problemi e valutiamo le scelte per quello che implicano, non per quello che vogliamo attribuire loro al fine di sostenere le argomentazioni politiche di parte. Per scelte di lungo periodo che implichino convergenze politiche di fondo con il Pdl occorre passare dal congresso del Pd e questa diventa dunque una necessità politica irrimandabile. Mi piace chiudere questa riflessione con le parole di Luigi Bobba che, nel giorno della festa di S.Caterina da Siena, ha ricordato il monito della patrona d’Italia: “Ricordatevi che la città terrena vi è prestata”, perché questo nostro Paese ci è stato dato in prestito ed è nostro dovere cercare di consegnarlo migliorato alle generazioni più giovani.