“Viviamo in un periodo di crisi – ha commentato Fausto Raciti – e nonostante la drammaticità della situazione il governo continua a discutere in privato, chiudendosi a qualsiasi altra prospettiva. Dall’altra parte c’è un’Europa che rimane in silenzio e impotente, mettendo in seria difficoltà i suoi paesi più deboli, manca una politica di salvaguardia nei loro confronti. Il governo non tiene conto del rapporto deficit/Pil: non può esserci risanamento del debito se non c’è crescita economica. In questo senso il dramma maggiore del nostro paese riguarda le giovani generazioni, condannate a entrare in un mercato del lavoro che dà poca stabilità e salari molto bassi, costituendo così uno dei principali ostacoli per la crescita economica dell’Italia”.
“Stiamo vivendo la fine di alcune stagioni – ha detto il neo direttore dell’Unità, Claudio Sardo – : la fine dell’egemonia ormai trentennale della destra; la fine di quella che abbiamo chiamato Seconda Repubblica e la fine della stagione berlusconiana. È un periodo molto confuso nel quale il governo dimostra di non avere degli orizzonti politici ben definiti e diventa quindi più difficile anche il compito delle opposizioni. Oggi abbiamo un presidente muto una maggioranza senza orizzonti politici, che dimostra di non essere aperta come invece dovrebbe essere un governo che deve affrontare una crisi. Molti non vogliono che sia il Pd a guidare l’alternativa e lo strumento principale che è stato usato contro il Pd è l’antipolitica, un’invenzione non recente in Italia – il fascismo è nato sull’antipolitica – e che è innanzitutto l’altra faccia del liberismo, nascendo dal rifiuto della politica come guida economica e sociale. Credo che un partito, nel momento in cui si considera tale, debba avere la capacità di darsi un rigore in tutti i suoi ruoli. Il ripristino di regole di rigore è fondamentale per combattere l’antipolitica. Se le forze progressiste europee riusciranno a presentarsi alle prossime elezioni con idee congiunte e chiare e dimostrando un certo rigore potranno avere una grande occasione”.
“Siamo sicuramente di fronte ad un’Europa diversa da quella che avevano immaginato i padri fondatori all’indomani della Seconda guerra mondiale – ha commentato Alberto Monaci – un’Europa che da consolidamento di Stati per la difesa comune ha dirottato interamente sul piano dei capitali. Nel contesto europeo, come Regione Toscana, siamo sicuramente per storia e convincimento una regione che si è sempre misurata con lo spaccato degli altri paesi europei. In questi anni abbiamo avuto anche grossi rapporti con quello che è stato il ragionamento dell’Europa. Dalla nascita della Regione Toscana l’assemblea regionale ha istituito la Commissione speciale per i problemi della Cee. Dal 2007 al 2013 avremo una serie di ritorni nei confronti dell’Europa: 328milioni di euro per il Fondo europeo di sviluppo regionale e 313milioni di euro per il Fondo sociale europeo. Abbiamo proposto infine come Regione, di strutturare una sezione congiunta con il Consiglio delle Autonomie Locali e con i rappresentanti del Parlamento europeo, per un lavoro continuo e strutturato, che almeno una volta all’anno ci obblighi a fare il punto della situazione”.
“Questa non è l’Europa che vogliamo – ha concluso Leonardo Domenici – non solo perché non è fedele a quella che volevano i padri fondatori ma perché sta funzionando in modo anomalo. È un’Europa intergovernamentale e che vede un processo di rinazionalizzazione dei singoli paesi. Riportiamo il dibattito all’interno del Parlamento europeo, altrimenti queste decisioni saranno prese sempre nei vertici tra Merkel e Sarkozy. Il problema è che le decisioni sono spesso tardive e inadeguate, fondate solo su rigore e austerità senza dare impulsi di crescita e creazione del lavoro ai paesi. Occorre impostare una politica di medio lungo termine e superare quella logica di veduta corta che ha caratterizzato finora la politica e che ci ha portato a questa situazione. Il problema fondamentale è adottare una prospettiva di crescita e di sviluppo, che possiamo pensare solo in una dimensione europea. Senza politiche di sviluppo non ci sarà alcuna ripresa dal debito”.
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