“Mi sento fortunato e onorato di essere qui, su invito di Claudio Carli, a dire poche parole sul Palio che egli ha realizzato. Ho sempre amato e ammirato Siena, anche per ragioni professionali. Una città dove porto continuamente i miei studenti perché in essa si legge, come in un libro illustrato: un grande capitolo della storia della cultura occidentale. Ma soprattutto perché offre l’esempio quasi unico di una civitas che ha una coscienza profonda della sua storia e delle sue tradizioni e da esse sa trarre i valori del proprio presente”.
1. Il saio
Questo Palio è dedicato a San Francesco, il quale venne a Siena per mettere pace tra le fazioni in lotta nel 1212. Francesco è un personaggio universale per una scelta di vita difficile, senza compromessi e dunque tanto più esemplare (La stessa tenacia contraddistingue santa Caterina).
Se c’è un solo oggetto che identifichi la missione e la fede di Francesco quello è il saio. Una tonaca, come dice la parola, di foggia semplice e fatta di lana rozza.
1.1. Il colore della terra
Le prime fonti francescane (La legenda perugina, 1669) e le prime regole dell’ordine specificano che il saio deve essere del colore dell’allodola, cioè come quello della terra per aderire meglio al voto di povertà e dimostrare l’umiltà dei frati. (Nella Franceschina si raccomanda che il colore cinerino sia ottenuto con un filo bianco per la trama e un filo nero per l’ordito. Coincidenza con i colori della balzana di Siena)
La reliquia del saio conservata nella Basilica di San Francesco ad Assisi e le prime iconografie (l’affresco del Sacro Speco, la tavola conservata alla Porziuncola) a cui Carli si è ispirato, sono infatti grigie. Ma le toppe del saio -le toppe sulle toppe- offrono anche l’occasione di un gioco di composizione, per cui il saio viene anche ad essere il punto di convergenza di un assortimento di grigi con un proprio gradiente estetico.
1.2. Digressione etimologica (la materia)
A Siena il Palio ha due altri appellativi: “drappellone” e “cencio”.
a) Drappo viene dal latino Drappus che significa tessuto, che poi in epoca medievale e provenzale cambia in Drap, stoffa pregevole (seta, damasco). Dunque una connotazione alta, nobile –come quella del palio/pallium– seppure corretta in modo colloquiale dall’accrescitivo e vezzeggiativo drappellone.
b) Cencio, pure, viene dal latino tardo Cincius, che indicava una coperta di pezze. Per Cencio la connotazione è bassa, povera, tanto che è sinonimo di straccio.
Ma qui Carli ha voluto forzare quasi, una simbiosi tra il saio e la seta. Tale che la contiguità, il toccarsi fisico dei due tessuti, provochi una congiunzione (saio e cencio) e anche una collisione (saio e drappo).
2. Bastone e Ghiande
Alla presenza di Francesco a Siena è legata la pia leggenda dell’ “Alberino”, cioè del bastone o bordone che il Santo piantò e da cui nella notte nacque per miracolo un leccio (dalla Cronica sanese, attribuita a Andrea Dei). Il bastone propone la continuità del tempo e dello spazio del miracolo perché, germogliando, le fronde si aprono nella superficie del pennone e lo avvolgono anche sulla faccia retrostante.
L’ “Alberino” produce delle ghiande. Esse portano una nota forte di colore: sono i colori delle divise delle contrade: sulla fronte quelle che partecipano all’edizione di Luglio 2012 del Palio, distinte anche perché in rilievo; sul retro quelle che non partecipano.
3. Cantico
Il retro del Palio (raramente dipinto) propone la vicinanza tra i rami e i versi del Cantico delle Creature dedicati alla lode per la “madre terra”. L’allusione è ovvia: la terra ha permesso che il bastone diventasse “Alberino” e ha continuato a nutrirlo.
Ma i versi sono riportati in un colore che si chiama “terra di Siena bruciata”. E da qui ha origine una sequenza di rimandi tra il colore e la terra e la città, e continua nel tufo che si stende in Piazza per la carriera.
4. Madonna
Nella iconografia tradizionale la Madonna, in questo caso la Madonna di Provenzano, “assiste” e “protegge” dall’alto tra le nuvole. Ma la vicinanza con le fronde e le ghiande dà l’impressione che ella appaia nel mezzo dell’albero, proponendo così un riferimento alle tavolette dipinte chiamate Ex-voto. Come a sottolineare ancora una volta i valori della semplicità e della povertà attraverso una intenzionale “regressione” verso le forme dell’arte popolare.
Conclusione
Claudio Carli ha saputo “tessere” molte trame e molti orditi. Ogni filo operante in sfere d’azione diverse: di ordine linguistico, concettuale, iconografico e materico.
Ha saputo interpretare la storia del Palio e quella di Francesco e ne ha fatto scaturire un lavoro molto persuasivo e pieno di poesia. Ha evitato, soprattutto, il rischio della retorica.
Ha posto il massimo dell’attenzione sulla riproduzione della reliquia che si sovrappone e domina il “cencio”. Ma ha permesso che si avviassero una serie di possibili relazioni tra tutti gli elementi simbolici aprendo l’orizzonte a una narrazione immediata e complessa, originale e familiare, piacevole e sorprendente.
Mi auguro che il pubblico, il popolo di Siena, accetti questo palio e lo ami.
5. Omar C.
Un pezzetto del palio è dedicato a Omar Calabrese, semiologo e professore all’Università di Bologna dove lo incontrai tanti anni fa, poi passato a Siena dove è stato anche assessore alla cultura. Doveva essere lui la persona invitata a introdurre questo palio. Io avrei preferito essere in mezzo al pubblico e ascoltare le sue parole.
Ezio Genovesi
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