Inviateci racconti, ricordi, foto dei vostri viaggi. E’ la nuova rubrica di SienaNews che vogliamo inaugurare pubblicando il primo di una serie di articoli scritti da David Rossi sul prestigioso mensile “Dove”.
David Rossi, fondatore del nostro quotidiano on line di cui vogliamo mantenere sempre vivo il ricordo.
Elogio della provincia
È preferibile una grande città o si sta meglio nei
piccoli e medi capoluoghi? A leggere le classifiche
annuali, non ci sono dubbi: piccolo è bello
perché non si vive di solo Pil. Ai primi posti non
troviamo mai realtà di grandi dimensioni e nessuno
si sorprende. Ma un breve viaggio letterario
alla scoperta di come si sono mossi gli italiani negli
ultimi 50-60 anni ci ricorda che un tempo la
metropoli era la meta desiderata da tutti, o quasi.
Poi, dagli anni ’70, il lento declino a favore di un
altro Paese, più periferico, però anche più umano.
Ce ne siamo accorti dopo la fine del miracolo
economico, ma in America qualcuno iniziava a
dubitare del gigantismo delle città, alla fine degli
anni ’30. “Se si considerano le condizioni della
metropoli, scriveva Lewis Mumford nel 1938, si
scopre un’allucinazione strana: il concetto che la
sua dimensione, potenza, efficienza e ricchezza
siano state la causa di un corrispondente progresso
nella vita dei suoi abitanti”. Qual è la logica
di questo sbaglio? Si chiedeva l’autore di La cultura
delle città, testo fondamentale per capire le
dinamiche sociali e urbanistiche degli ultimi due
secoli, tradotto in italiano nel 1953 (Einaudi). Fra il
1955 ed il 1970, gli spostamenti da un Comune
all’altro furono 25 milioni. Fra il 1951 e il 1961, solo
19 province su 72 ebbero un saldo migratorio
positivo: Milano (+589.000), Roma e Torino
(390.000), Genova (100.000), poi Firenze e Bologna.
Dal ’54 al ’64 le patenti automobilistiche
passarono da 700.000 a 5 milioni, nel 1955 arrivò
la 600, due anni dopo la 500. Racconta benissimo
quel periodo Guido Crainz (Storia del Miracolo
Italiano, Donzelli, Roma 2006). Chi preferisce il
cinema può riguardarsi Il Sorpasso di Dino Risi
(1962). Col mito del boom economico, le campagne
si spopolano, le periferie si mangiano alberi
e prati. Sul fronte del disagio ci si può documentare
rileggendo gli articoli di Giorgio Bocca
per Il Giorno o le pagine spigolose di Luciano
Bianciardi (La vita Agra, Milano 1962), che era
partito da Grosseto, e avrebbe voluto tornarci invece
di veder crescere palazzoni all’interno di una
moderna e progressiva disgregazione sociale.
Proprio la regione che aveva lasciato
è stata una delle prime a invertire la
tendenza e a veder rifiorire zone come
Chianti, Val d’Orcia, Maremma,
con poderi ristrutturati, agriturismi,
business del vino ed il turismo di livello, la cultura,
i paesi, le piccole città, con la loro qualità della vita
al top. Tra le colline senesi e il mare, fra Grosseto
in grande crescita e Siena sempre fra le dieci
migliori, a volte prima assoluta, si trovano molti
esempi di quell’Italia “minore”, indietro per
quantità, ma avanti per qualità. A volte è anche
la tradizione che gioca a favore. Siena è stata un
tempo metropoli – tra IX e IX secolo – al pari delle
maggiori capitali europee, aveva una banca,
l’università, l’ospedale, statuti e leggi fra i più
avanzati. Oggi è periferia, anche per la carenza di
collegamenti, ma ha sempre il Monte dei Paschi,
il suo Ateneo, l’ospedale nuovo, mentre il vecchio
è un polo museale, il Palio. È lontana dal centro,
ma con qualche finestra sul mondo. Può essere
la giusta misura? David Rossi