Il discorso del sindaco Valentini alla presentazione del cencio

Onorandi priori, capitani, autorità, contradaioli carissimi, si pensa subito a una medaglia, oggetto assai ricercato e apprezzato soprattutto dopo la celebre opera del Pisanello, quando si osserva l’insolito Drappellone dipinto a quattro mani da Cesare Olmastroni e da Cecilia Rigacci per il Palio d’agosto di questo 2013: un oggetto la cui preziosità si dispiega in ambedue le facce sulle quali è articolato.

 

In effetti la medaglia riesce a concentrare, nella sua limitata possibilità di riproduzione del soggetto cui è dedicata, una capacità comunicativa assai incisiva proprio dettata dalla sinteticità degli elementi.

 

Si avvale di una faccia in cui il personaggio che viene onorato, o l’evento da ricordare, sono riproposti in modo diretto e frontale, e di un rovescio in cui la persona o il fatto sono rappresentati in modo più descrittivo e dettagliato.

 

Essa è preziosa, nel materiale e nella tecnica esecutiva, come la moneta: ma non dimentichiamo che la medaglia si differenzia dalla moneta soprattutto perché non è una merce di scambio. Il suo valore è, per quanto alto, imprecisabile e, soprattutto, simbolicamente enorme: le due facce si sostengono a vicenda, costantemente mantenute in equilibrio. Come nell’universo ogni elemento ha un suo opposto, e l’uno non può esistere senza l’altro; come il giorno non può esistere senza la notte, ma si trasforma l’uno nell’altra, senza una netta distinzione.

 

Gli artisti stessi testimoniano con la loro storia personale due facce complementari della nostra città: Cesare Olmastroni ha offerto tutta la sua arte al Comune di Siena, in cui ha lavorato come dipendente, artista e restauratore, per una vita intera; come a lui, la città deve all’impegno dei tanti lavoratori del Comune l’organizzazione degli impeccabili ingranaggi della nostra Festa. Cecilia Rigacci dal canto suo è l’espressione della

 

 

 

 

tradizione delle botteghe d’arte da sempre protagoniste del tessuto culturale della nostra città.

 

Da una parte Cesare Olmastroni conferma la sua padronanza del linguaggio degli antichi maestri e un’esperienza dell’arte senese che è divenuta una sorta di completa appartenenza. L’originalità della rappresentazione di scorci dei rioni per indicare le Contrade rimanda all’idea stessa di appartenenza, e al senso più profondo dell’identità contradaiola, che nutre la città, a sua volta elegantemente dispiegata nel manto della Vergine, una sorta di cometa luminosa che avvolge e guida Siena.

 

E d’altra parte l’opera descrittiva e minuziosa di Cecilia Rigacci palesa il suo insistito impegno decorativo, quasi un richiamo al movimento delle arti e dei mestieri di fine Ottocento: non a caso le radici di questo pensiero si sviluppano sulle orme delle antiche corporazioni medievali, sull’enfatizzazione della linearità dello stile gotico. Il centro della rappresentazione è proprio un’importante offerta votiva alla Vergine, un momento di preghiera in cui la città tutta riflette sulle proprie potenzialità e riprende in mano il proprio destino, difendendo e curando ciò che ha di più caro.

 

Si dice che ogni tradizione è un’innovazione ben riuscita: come nel nostro Palio, tradizione e innovazione sono due facce della stessa medaglia, rappresentazione di una città da sempre unita pur nella differenza, che celebra nel nome della Madonna il proprio più fiero orgoglio e il proprio instancabile impegno per la vittoria.

 

 

Bruno Valentini