Non sembrano passati 212 anni da quelle terribili giornate che sconvolsero Siena nel giugno del 1799 tanto il dibattito è acceso e sentito come attuale. A dimostrarlo ci sono le numerose lettere e gli svariati interventi che sono arrivati alle redazioni del “Corriere di Siena” e di “SienaNews“ da quando la vicenda è stata ritirata in ballo. I fatti sono i fatti, la realtà è la realtà, ma come spesso accade nella ricostruzione storica anche in questo caso le interpretazioni, e forse le idee di chi produce queste ricostruzioni, sono diverse, spesso addirittura opposte.
Cosa successe Quel che è certo è che 13 ebrei senesi morirono nelle due giornate di tumulti. E’ certo anche che questi tumulti scoppiarono dopo l’arrivo a Siena di alcune bande chiamate del Viva Maria partite da Arezzo. Queste erano composte di persone di differente cultura ed estrazione sociale provenienti soprattutto dalla città e dalla campagna aretina. La rivolta contro l’occupazione (diremmo oggi) delle truppe francesi scoppiò infatti proprio ad Arezzo per poi propagarsi nell’intera Toscana.
Ma chi fu responsabile delle violenze che si scatenarono a Siena? Tra il 28 ed il 29 giugno, infatti, furono saccheggiate le case di coloro che vennero ritenuti amici delle truppe francesi. Identica situazione era già avvenuta nelle altre città e località dove erano approdate le bande del Viva Maria. Poi qualcuno si diresse verso il ghetto in Salicotto e le violenze proseguirono: furono uccisi 13 ebrei, i corpi di alcuni di loro vennero fatti bruciare in Piazza del Campo assieme all’albero della libertà, simbolo della presenza dei soldati francesi. Le truppe della Rivoluzione, intanto, e più che francesi si deve parlare di soldati polacchi (che combattevano assieme ai transalpini perché sognavano di ottenere la libertà anche per il loro Paese) si rinchiusero e si asserragliarono nella Fortezza medicea, dopo essere stati sopraffatti dalle bande aretine. Fin qui la ricostruzione è per entrambe le parti praticamente identica: a cambiare completamente è la storia successiva. Sul “Corriere di Siena” Santino Gallorini (autore del libro “Viva Maria e Nazione ebrea”) ha scritto che ad assaltare il ghetto furono alcuni delinquenti comuni nati e residenti a Siena, tutti tra la zona di Pantaneto e di Porta Romana. A suo dire i componenti del Viva Maria corsero a salvare gli ebrei senesi, limitando l’operato di questi delinquenti senesi.
Rogo La giornata di violenze il 28 giugno 1799, data della presa di Siena da parte delle bande aretine e della fuga dei francesi, terminò con un grande e terribile rogo in Piazza del Campo. L’albero della libertà, simbolo dell’arrivo dei soldati della Rivoluzione, venne tagliato e poi gettato sopra le fiamme. La stessa sorte toccò subito dopo ad un soldato francese che era rimasto ferito alle gambe e non era così riuscito a ripararsi in Fortezza e poi ai corpi dei 13 ebrei già uccisi. Al termine delle violenze, in tarda serata, venne portata in trionfo la statua della Madonna del Conforto, a cui fu fatto fare un giro della Piazza prima di sistemarla nella Cappella. Poco dopo arrivò Karl (ribattezzato Carlo) Schneider, ufficiale austriaco ritenuto capo delle bande aretine. E certamente i soprusi non terminarono. L’ufficiale infatti arrivò nel ghetto e ordinò agli ebrei il pagamento di 50mila lire entro le successive due ore, altrimenti sarebbe stato dato fuoco all’intero ghetto. A raccontarlo è anche Brigidi nel suo volume “Giacobini e realisti – Il Viva Maria“. Dopo le disperate richieste della comunità ebraica, la somma fu abbassata fino a 25mila lire da pagare entro ventiquattro ore. Le prime 10mila, ordinò lo Schneider, avrebbero dovuto essere pagate entro un’ora, pena l’incatenamento di tutti gli ebrei ed il loro trasporto ad Arezzo. La cifra fu pagata e lo Schneider, comandante del Viva Maria, se ne tornò con il bottino ad Arezzo. Alla fine di quest’epoca storica, con la Restaurazione ed il ritorno dei Lorena, Ferdinando III restituì la cifra di 25mila lire agli ebrei senesi.
Gennaro Groppa
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