L’intervento del presidente Gabriello Mancini nella conferenza stampa di fine mandato tenutasi questa mattina presso la Fondazione

Fondazione Mps

Ho ritenuto di tenere questa conferenza stampa alla fine del mio mandato e degli altri organi della Fondazione quale dovere etico e sociale verso quella Comunità che è espressione del territorio di riferimento e che finisce per sopportare il peso dell’evoluzione drammaticamente avversa del “Sistema Monte Paschi di Siena” che ha contraddistinto questi ultimi anni.
L’obiettivo è di contribuire alla giusta comprensione e valutazione delle principali vicende che hanno contrassegnato il quadriennio, comprensione che si impone al cospetto della virulenza che ha accompagnato e purtroppo talvolta ancora accompagna la rappresentazione delle vicende relative al Monte dei Paschi. Troppo spesso il dibattito pubblico è stato falsato; ma a questo atteggiamento non poteva che corrispondere la ferma responsabilità della Fondazione nel non ribattere pubblicamente, se non in caso di gravi imprecisioni, avendo ben presente la delicatezza derivante dall’essere azionista di riferimento di una società quotata.
Certo il mandato 2009-13 si è rivelato difficilissimo e per tanti versi drammatico, sicuramente senza alcun precedente, per la congiuntura economica internazionale sfavorevole e soprattutto per le vicende particolari che hanno interessato le Istituzioni locali e la Banca conferitaria, peraltro fortemente condizionate anch’esse dal quadro economico generale.
Voglio sottolineare come ogni decisione sia stata sempre assunta nel pieno rispetto delle norme e con le necessarie autorizzazioni delle autorità di vigilanza,  valutando ogni elemento messo a disposizione e scegliendo collegialmente la via giudicata migliore per la tutela degli interessi della Fondazione e, soprattutto, degli scopi che essa si prefigge.

Il Sistema Mps fra continuità e discontinuità

Con l’espressione “Sistema Mps”, frutto di riscontro fattuale più che di un giudizio di valore, mi riferisco alle complesse interrelazioni intercorse fra Fondazione, Banca Mps e infine gli Enti nominanti fra i quali il Comune e la Provincia di Siena, che hanno svolto nel passato un ruolo in realtà di gran lunga più incisivo, di fatto, di quello formale a essi attribuito dallo statuto ora abrogato, nella formazione degli Organi della Fondazione.
Proprio partendo da quest’ultima osservazione, viene anzitutto spontaneo osservare che nell’indicare le scelte la Deputazione Generale della Fondazione Mps nella sua precipua funzione di elaborazione strategica e di indirizzo volta a formare i Documenti Programmatici Strategici pluriennali e annuali della Fondazione, ha avuto come naturale punto di riferimento gli orientamenti di indirizzo politico (in senso lato) e programmatico degli Enti nominanti. Orientamenti scaturiti dagli Enti che – pur non tenuti a tanto dalla normativa –, relativamente sia alla Fondazione sia alla stessa Banca conferitaria hanno costantemente formulato quale espressione degli interessi e del sentire della Comunità locale di riferimento: interessi e sentire dei quali quegli Enti, a base elettorale, non senza fondamento empirico assumevano di essere i portatori esclusivi.
Va da sé che la responsabilità dei Documenti Programmatici emanati nel corso del mandato appartiene alla FMps, ma voglio sottolineare  che gli obiettivi e i vincoli che in quei Documenti sono stati espressi, devono considerarsi non già il frutto di scelte avulse dal tessuto sociale ed economico del Territorio di riferimento, bensì il fedele e incontestato riflesso delle convinzioni dominanti e largamente diffuse all’epoca, a ogni livello fra i vari soggetti che comunemente si usa definire come “Stakeholder” della Fondazione.
Non ho mai sostenuto di aver fatto quello che “mi è stato detto di fare”, ma di aver agito, questo sì, nel rispetto della reciproca autonomia, in coerenza con gli indirizzi strategici e in sintonia con i principali enti nominanti.

Le deliberazioni di indirizzo di Comune e Provincia

A puntuale esemplificazione basti rammentare che le deliberazioni del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale di Siena del 17 giugno 2009, e approvate con una mozione di identico contenuto riportano (in sintesi) quanto segue:
“Linee programmatiche per mandato 2009-2013 di FMps”.
Si valuta in modo positivo l’azione esercitata nel precedente mandato dagli Organi della Fondazione. La decisione strategica relativa all’acquisizione da parte di Banca Mps del pacchetto azionario di Antonveneta viene valutata positivamente poiché ha permesso di accrescere il perimetro della Banca; rotto l’isolamento e conservata l’indipendenza strategica, presupposto sul quale si era espresso il precedente “mandato” del Consiglio.
Si ribadisce che la scelta di Fmps di partecipare all’aumento di capitale di Bmps per l’intera quota azionaria, sia stata una scelta giusta e condivisibile.
Per Banca Mps: si conferma la scelta di mantenere indipendenza strategica e radicamento territoriale.

Poco più di due anni dopo la “emanazione” delle Linee programmatiche 2009-2013, nuovamente il Comune e la Provincia di Siena sono intervenuti sui temi in questione con due delibere consiliari (rispettivamente del 6 settembre 2011, il Comune e del 16 settembre 2011, la Provincia) entrambe del medesimo tenore, come segue:
“Aggiornamento linee programmatiche mandati 2009-2013 di Fmps”.
Premesse generali:
ruolo importante delle Fondazioni nella stabilizzazione delle partecipazioni nelle Banche e per mantenere la proprietà della banche in ambito nazionale
ruolo ancora più insostituibile delle Fondazioni negli assetti azionari delle Banche
Partecipazione BMps e Aumento capitale Banca:
1) l’aumento di capitale ha corrisposto pienamente agli interessi primari   dell’Ente
2) la sottoscrizione di 1,09 miliardi è stata coerente con l’obiettivo contenuto in tutti i documenti dell’Ente e delle istituzioni nominanti, in cui si è sempre affermato l’impegno a mantenere l’indipendenza strategica di Banca Mps e la sua non scalabilità.
3) Modalità e tempi di sottoscrizione: hanno riconfermato la funzione di azionista di riferimento di Fmps e contribuito a garantire l’italianità della terza banca del Paese e il suo legame forte con la Toscana.
Inoltre si affermano i seguenti principi:
– Fmps rappresenta per città e provincia uno straordinario valore aggiunto per competenze, relazioni e saperi;
– si apre nuova fase per la gestione del patrimonio.
– si conferma l’indirizzo della precedente mozione per mantenere l’indipendenza strategica della Banca.

I Documenti di Programmazione strategico pluriennali nel quadriennio 2009/2013

Chiaro dunque che la scelta degli obiettivi, da parte della Fondazione è stata frutto di una determinazione certo libera, ma di fatto inevitabilmente “pregiudicata” dalle esplicite indicazioni programmatiche “di mandato” provenienti pubblicamente, con deliberazioni consiliari, dagli Enti nominanti, come è stato per quelle che ho appena  rammentato. Nel corso degli anni la Fondazione ha effettuato scelte inderogabili che privilegiavano il sostegno al rafforzamento patrimoniale di Banca Mps fornendo il supporto alle operazioni straordinarie deliberate dalla conferitaria.
Come noto, le Fondazioni non nacquero – nelle intenzioni della Legge Amato del ‘90 –  sulla base di una identificazione di obiettivi da perseguire (“un patrimonio per uno scopo”), ma della riorganizzazione degli assetti proprietari delle maggiori banche nazionali al fine di agevolare il passaggio da un sistema di proprietà pubblica delle banche alla loro privatizzazione.
Il percorso logico che portò alla loro nascita non fu quello tradizionale che identifica uno scopo di interesse generale o pubblica utilità e vincola un certo patrimonio al suo perseguimento. Fu invece l’esatto contrario: una volta accertato che si sarebbe verificata in capo a tali enti la disponibilità di patrimoni ingenti (i pacchetti di controllo totalitario delle ex banche pubbliche e Casse di Risparmio), sono stati declinati una serie di “oggetti sociali” vagamente filantropici, ma in genere ampiamente flessibili in modo da dare a ciascuna realtà la possibilità di perseguire quelli tempo per tempo ritenuti più confacenti alle comunità di riferimento.
In generale, quanto più ci si è allontanati dalla Banca e dalle dinamiche dell’amministrazione delle relative partecipazioni, tanto più si è riusciti a valorizzare le finalità statutarie e le mission cosiddette “filantropiche”.
Nei casi invece dove continuava a essere prevalente la considerazione del legame con le Banche, l’attività istituzionale ha rischiato di essere sostanzialmente residuale o comunque fortemente condizionata dall’entità di risorse che la Banca metteva a disposizione e che non fossero da reimpiegare nella Banca stessa a titolo di aumento di capitale futuro.
A Siena, non si pensava e non si è mai pensato a uno sviluppo autonomo della FMps rispetto alla Banca: in altre parole, fra le due opposte finalità, la capacità di consentire lo sviluppo della banca senza far venire meno il grip della comunità locale – da un lato – e l’adeguatezza delle risorse disponibili per un efficace perseguimento degli scopi filantropici, dall’altro, ha prevalso nettamente la prima.
Da quello che si è detto, emerge chiaro che gli obiettivi sostanziali alla base della missione della FMps sono stati principalmente due:
•    Continuare a esercitare una presa se non esclusiva, sicuramente rilevante sulla banca evitando di trasferirne il controllo all’esterno;
•    Continuare a garantire il consistente finanziamento in particolare agli enti locali.
Il combinato disposto dei due obiettivi sopra declinati ha portato a una conseguenza piuttosto chiara e sotto gli occhi di tutti: il punto di riferimento dello sviluppo economico del territorio ha continuato a essere la banca; la Fondazione ne è stata solo lo strumento necessario che ha privilegiato prima di tutto la crescita e la conservazione dell’influenza locale sulla Banca.

Il rapporto con Banca Mps

Per quanto riguarda i rapporti intrattenuti con Banca Mps  non è mai mancato il nostro appoggio e la fiducia nel suo management. Non è però mai mancato, nelle sedi opportune, ovvero nelle sedi assembleari, il puntuale esercizio del nostro ruolo di indirizzo e di verifica dei risultati.
Cosa chiedevamo, essendo troppo spesso accusati di esercitare una forte ingerenza sulla Banca? Fin dall’approvazione del Bilancio 2008 chiedevamo il recupero di una redditività adeguata lavorando sia sul fronte dei ricavi – per quanto possibile in una situazione così complicata, stante una curva dei tassi sicuramente penalizzante per un Istituto prettamente retail – sia, soprattutto, su quello dei costi. Ed in particolare sui costi del personale, per quanto riguarda la necessità di collegare strettamente le retribuzioni (specialmente quelle variabili dei gradi più elevati)  alla redditività della Banca. Chiedevamo una migliore gestione del credito, attenta all’immunizzazione del rischio senza però penalizzare oltre modo la crescita dei proventi e la ripresa del tessuto produttivo, grazie alla riallocazione di risorse nei business a maggior valore aggiunto, al corretto pricing dei prodotti proposti alla clientela, all’attenzione verso i territori di riferimento senza venire meno alle basilari regole di sana e prudente gestione.
Chiedevamo il recupero del tradizionale modello di business e organizzativo del Monte – focalizzato sulla centralità del cliente non solo per convenienza economica, ma anche e soprattutto per urgenza etica – accompagnato tuttavia da una maggior velocità di reazione alle richieste e all’evoluzione verso un più significativo ruolo di consulenza nel modo di fare banca. Chiedevamo, infine, un percorso di rafforzamento patrimoniale che permettesse, nel medio termine, una maggiore stabilità della Banca dal punto di vista del capitale.
Più specificatamente sull’ultimo punto, sempre con l’obiettivo di valorizzare e sostenere la nostra Conferitaria, ovvero, nel corso delle assemblee per avviare le operazioni di aumento di capitale e sulla base di piani industriali mai concretizzati, oltre che “svenarci” finanziariamente e patrimonialmente, ci siamo prodigati in stimoli e indicazioni per raggiungere quel rilancio della Banca che purtroppo non è mai arrivato.
Oggi, dopo quello che è successo si dice che non abbiamo controllato e non abbiamo esercitato le prerogative dell’azionista di maggioranza relativa.
Non è questa la sede per allargare troppo il discorso, ma basti dire che sempre più nettamente si è venuta a scoprire una situazione che vede da un lato l’emersione di soggetti ingannatori e, dall’altro, l’amara sorpresa dei soggetti ingannati. In primis è stata ingannata la stessa Banca, così come lo è stata l’intera Comunità senese. Anche la Fondazione è stata pesantemente ingannata e danneggiata.
Mi sento però di dire che non è vero che non abbiamo fatto niente: l’avvicendamento nelle cariche di Provveditore della Fondazione (luglio 2011), di AD e Direttore Generale della Banca (gennaio 2012), del nuovo CdA e del nuovo Presidente della Banca (aprile 2012), l’adesione all’azione di responsabilità proposta dal CdA della Banca (aprile 2013), l’affiancamento con la Banca Mps nelle azioni da essa intraprese, ma anche l’avvio delle cause per risarcimento danni promosse dalla Fondazione (luglio 2013) sono la prova tangibile che nel rispetto dei ruoli e della normativa abbiamo svolto il nostro compito con dedizione, passione e responsabilità.

L’aumento di capitale

Sottolineato quale è stato il modo di rapportarsi con la banca conferitaria voglio analizzare uno degli aspetti salienti che proprio nei rapporti con Banca Mps ha caratterizzato questo mandato, condizionandolo fortemente.
Dopo l’adesione nel 2008 all’aumento di capitale lanciato dalla Banca per l’acquisizione di Antonveneta, al fine di consolidarne il posizionamento di terza banca italiana, nel 2011 vi è stata l’adesione ad un nuovo aumento di capitale per il rafforzamento patrimoniale della Banca. Ciò al fine di rispettare i nuovi requisiti di vigilanza con intervento strategico per il territorio di riferimento e per l’intero sistema Paese, come richiesto anche da autorevoli livelli istituzionali in particolare dal Ministero del Tesoro. Negli incontri precedenti all’annuncio dell’aumento di capitale il Presidente e il Direttore Generale della Banca avevano sempre fornito indicazioni rassicuranti sull’attuazione del Piano industriale, riferendo dati che mostravano solidità patrimoniale e stabilità di conti – tèsi peraltro corroborata dalla predisposizione di bilanci in avanzo – negando la necessità di ricorrere ad aumenti di capitale, e anzi asserendo come le ben diverse notizie di stampa apparissero quali manovre di competitors privi di scrupoli.
Mentre la FMps riceveva rassicuranti informazioni, si è saputo poi, che la Banca d’Italia convocava per ben due volte i vertici del Gruppo Monte dei Paschi (marzo 2010), richiedeva (agosto 2010) con forza un’azione di rafforzamento patrimoniale sia per adeguarsi agli standard europei sia per far fronte ai rischi assunti e, infine, inviava agli organi della Banca un rapporto ispettivo nel quale si indicava come indifferibile un consistente aumento di capitale sociale.
Tali decisioni strategiche e tattiche della FMps si erano dunque basate sulle affermazioni rassicuranti e sulle previsioni reddituali della conferitaria contenute nei piani di impresa presentati alla comunità finanziaria e giudicate dalla stessa (sulla scorta dei pareri rilasciati dagli advisor) credibili e prudenti.
Tali attese non hanno tuttavia trovato conferme nei risultati della Banca: il piano industriale post acquisizione Antonveneta è stato implementato solo marginalmente e il Piano d’Impresa 2011/2015 è risultato non realizzabile subito dopo il completamento dell’aumento di capitale. Così:
la gestione operativa della Banca ha messo in luce forti criticità;
la politica dei dividendi della conferitaria ha fortemente penalizzato la Fondazione (negli ultimi quattro anni di gestione la FMps ha investito 4,5 miliardi  di euro e ha beneficiato di soli 165 milioni di dividendi).
Aderire all’ultimo aumento di capitale era ineludibile sia dunque per le pressioni a livello nazionale, per l’impossibilità di non aderire così a ridosso dall’annuncio pena il rischio di far fallirlo e poi per le istanze della comunità senese a non diluire la quota di partecipazione nella banca Mps. Vale la pena interrogarci a questo punto se per la Fondazione esistessero alternative diverse dall’accompagnare la Banca nell’operazione di aumento di capitale. Forse  saremmo potuti scendere nella quota di possesso della partecipazione nella Banca in tempi utili dal punto di vista finanziario, ma in presenza di smentite ufficiali di aumento del capitale, è stata convinzione che il conseguente segnale che sarebbe stato trasmesso al mercato avrebbe sicuramente penalizzato il valore della partecipazione. Quindi, eventualmente, alla diluizione si sarebbe semmai dovuti approdare in tempi “non sospetti”, ovvero molto prima e comunque non oltre la fine dell’anno 2010.
Ma per questa decisione occorreva, da parte di tutta la società senese e delle sue istituzioni, un cambiamento radicale, una maturazione del modo di immaginare e di tradurre in politiche concrete il rapporto tra la Banca e il suo territorio. Alla base, forse anche di errori ravvisabili oggi, è innegabile l’esistenza all’epoca di una volontà diffusa, potentemente caparbia, di mantenere il controllo pieno della Banca per garantirne lo storico legame con il suo territorio, ritenendosi che lo si potesse fare esclusivamente mantenendo nel portafoglio della Fondazione la maggioranza del pacchetto azionario della Banca.
La Fondazione ha quindi aderito pienamente all’aumento di capitale, indebitandosi per 600 milioni di euro, fornendo in pegno regolare a garanzia le azioni Mps, supportata dal conforto di differenti advisors appositamente incaricati che hanno valutato credibile, assieme alla comunità finanziaria, il nuovo Piano d’Impresa 2011-2015 e in grado di produrre dividendi capaci di sostenere la restituzione del debito. Di fatto il Piano industriale che accompagnava l’aumento di capitale si è rilevato inattuabile dopo poco tempo, la restituzione dei Tremonti Bond non è avvenuta, né si sono prodotti gli utili previsti e le conseguenze sono quelle sotto gli occhi di tutti.
Le scelte dunque sono state effettuate su dati poi risultati falsi e in adesione, ripeto, a una interpretazione rigida del concetto di controllo della Banca. Concezione vincolata anche alle forti istanze provenienti dall’intera comunità senese, cittadina e provinciale, che attribuivano valenza strategica primaria al mantenimento di almeno il 50,1% del capitale sociale della Banca.
Solo successivamente – e a crisi ormai conclamata – questa interpretazione, dimostratasi troppo rigida, ha trovato una diversa declinazione e sono improvvisamente scomparsi molti di coloro che giudicavano tale limite come irrinunciabile e indiscutibile.
Deciso l’indebitamento per aderire all’aumento e venuti meno i dividendi necessari per la restituzione, gli atti compiuti sono stati un susseguirsi di emergenze da fronteggiare. La FMps  è stata, di fatto, costretta a lavorare in continuo stato di necessità: ogni decisione di rilievo non ha mai avuto un’alternativa reale e praticabile, se non ponendo a rischio l’esistenza stessa della Fondazione. Nel settembre 2011 si prende atto che il piano industriale della Banca è inattuabile e, alla luce dei risultati disastrosi e delle turbolenze di borsa (il titolo dalla data dell’aumento di capitale ha perso il 70% del suo valore), diventa ineluttabile la ristrutturazione dei contratti con i creditori. Sarà un’operazione lunga e complessa che impegnerà la Fondazione fino al giugno 2012.

La discontinuità: il nuovo statuto della Fondazione

Di fronte agli eventi succedutisi e al profondo cambiamento avvenuto di conseguenza in Fondazione è stata evidente la necessità anche di una riforma statutaria che, inizialmente osteggiata, a cose fatte ha riscosso infine il generale apprezzamento.
Del resto il vecchio statuto, recentemente abrogato con l’entrata in vigore del nuovo testo – elaborato e voluto in piena autonomia dalla Dg e approvato dal Ministero vigilante –, ha costituito per anni l’espressione più evidente di quel “Sistema Mps” che doveva poi rivelarsi inadeguato ad affrontare il cedimento delle crepe latenti che si andavano allargando, e che la drammatica crisi economica e finanziaria mondiale ha poi fatto improvvisamente esplodere in tutta la sua pericolosità.
Con il nuovo statuto, allineato alla legge, alle migliori prassi e alla Carta delle Fondazioni approvata dall’ACRI, non vi sono più ” Enti nominanti” poiché il potere di nomina è stato allocato alla Deputazione generale, mentre, con un peso drasticamente ridotto, agli Enti territoriali è stata attribuita la funzione di pura e semplice designazione di una quota non maggioritaria dei componenti dell’Organo di indirizzo, ridotti nel numero.
Il processo di riforma statutaria si è anche caratterizzato per l’ampliamento dei soggetti nominanti, con l’apertura a enti nazionali e internazionali. Inoltre per la prima volta nell’esperienza delle Fondazioni di origine bancaria, è stato chiesto il coinvolgimento degli enti rappresentativi della Comunità locale, mediante la pubblicazione di un Documento di consultazione che riportava le proposte di modifica dello statuto, con invito a fare pervenire le osservazioni e rendendo poi noti gli esiti della consultazione.

Il rinnovo dei vertici della Banca e l’abolizione della soglia massima di possesso azionario.

Alla fase della discontinuità va ascritto anche il rinnovo dei vertici della Banca con la nomina di un nuovo Presidente e di un nuovo Amministratore Delegato, avvenuta nel corso del 2012. Da aggiungerci l’abolizione del limite al possesso azionario imposto dall’articolo 9, comma 1 dello statuto della Banca con la soglia massima del 4% del capitale per tutti gli azionisti eccetto la Fondazione, abolizione deliberata dall’Assemblea della Banca del 18 luglio a larghissima maggioranza e con il nostro voto favorevole.
Al riguardo qualcuno ha osservato che sarebbe stato meglio rimettere ai nuovi Organi dell’Ente la decisione sul voto e che sarebbe inoltre questionabile la competenza esercitata dalla Deputazione Amministratrice nel prendere la relativa deliberazione.
Temi entrambi non futili, ma che si misuravano, in primo luogo, con il fatto che la scelta dei tempi non è stata dettata dalla Fondazione, bensì dalla Banca, che ha convocato l’assemblea sull’onda dell’urgenza impressa dalla Banca d’Italia e dal Ministero in seguito a precise richieste della Commissione Europea. Richieste da quest’ultima ritenute propedeutiche per l’esame del piano di ristrutturazione presentato dalla banca in merito all’emissione dei Monti Bond. A ciò si è aggiunta l’esigenza da parte della Fondazione di adeguarsi alle perentorie indicazioni pervenute dal Ministero vigilante.
Per altro verso va rimarcata senza equivoci la netta separazione (con le relative differenti responsabilità) fra la funzione di indirizzo della Dg e le funzioni gestionali della Da, a quest’ultima dovendosi pur sempre ricondurre l’espressione del voto nelle Assemblee della Banca.
Va peraltro ancora considerato, al riguardo, che proprio sulla tematica afferente al voto nell’Assemblea della Banca sulla proposta di abolizione del vincolo, si è dovuta registrare, da parte degli Enti designanti, una nuova sensibilità ai profili di non ingerenza nelle scelte gestionali della Fondazione, avendo essi privilegiato, nelle recenti mozioni approvate su questo tema, la centralità della tutela del patrimonio, rimessa senza pregiudiziali al discrezionale apprezzamento della Fondazione: atteggiamento che costituisce, esso stesso, una significativa discontinuità rispetto alle pratiche del passato.

L’azione di responsabilità e di risarcimento del danno contro gli ex vertici       aziendali e contro le due banche straniere

La relazione del Cda di Banca Mps resa pubblica in vista dell’assemblea dello scorso 29 aprile, convocata per approvare l’azione di responsabilità già promossa fin dal 1° marzo 2013 dalla Banca in via d’urgenza, contro gli ex vertici (Presidente Mussari e D.G. Vigni) e contro le banche Deutsche Bank e Nomura, ha fatto emergere un’impressionante area di opacità e di occultamento della reale situazione economica e patrimoniale della Banca Conferitaria, con azioni che sono sotto indagine della magistratura.
La Fondazione ha così scoperto di avere basato la sua (già non facile) scelta di aderire all’aumento di capitale del 2011 su informazioni di bilancio poi rivelatesi non veritiere, le quali sono state infatti rettificate dalla Banca nel  bilancio 2012, portato in approvazione all’assemblea del 29 aprile 2013.
Preso atto di tale gravissimo occultamento delle perdite, che ha influenzato i bilanci dal 2008 al 2011 compreso, la Deputazione Amministratrice con deliberazione del 5 luglio 2013, acquisito il necessario parere legale, ha promosso le azioni di tutela del caso contro gli ex vertici e contro le due banche che hanno consapevolmente contribuito all’illecito, per il risarcimento dei gravissimi danni subiti.

Una Fondazione legata strettamente alla Banca e la sua mission rinnovata
Fin qui dunque gli eventi che si sono succeduti. Quali sono le conseguenze di tutto questo? Che la Fondazione è ormai strettamente legata ai destini di Banca Monte dei Paschi, alla sua capacità di risorgere e di tornare a produrre utili in tempi che purtroppo le recenti vicende spingono oltre le previsioni contenute nel nuovo piano industriale. Non ci sono alternative, se non nel confidare nel nuovo management, nelle misure talvolta dolorose che sono state e saranno adottate.
Da più parti si legge che il futuro della Fondazione e della Banca passa da un diverso modo di interpretare la governance rispetto al passato. Sia il Presidente e l’AD della Banca, sia il Sindaco e il Presidente della Provincia e inoltre altre istituzioni e associazioni locali e nazionali ritengono che il migliore futuro assetto della compagine azionaria, nonché l’unica possibilità di mantenere la Banca a Siena passi attraverso la progressiva diluizione della Fondazione e il conseguente ingresso di nuovi soci con i quali negoziare, attraverso accordi, la corporate governance della Conferitaria.
Il passato ci ha insegnato che avere dei dogmi strategici molto spesso induce a sottovalutare o trascurare tutti gli scenari astrattamente e/o concretamente possibili. Non esistono ricette pre-confezionate che tempo per tempo mantengono la loro validità. Oggi, alla luce di quanto si legge, una sola cosa è certa: ovvero, che la Fondazione nel prendere le decisioni strategiche sul suo futuro dovrà tenere conto di quelle ipotesi che valorizzino al massimo il proprio patrimonio. Solo in questa ottica si potrà anche fare il bene della Banca e si potrà mantenere il giusto legame tra Fondazione, Banca e territorio.
Nel frattempo la nostra istituzione sta cercando di salvaguardare con le poche risorse a disposizione quelle realtà in cui ha investito direttamente o che ha aiutato a nascere grazie ai suoi contributi, ma anche di interpretare in maniera più articolata la sua mission, pur senza modificarne gli obiettivi di fondo, diversificando quell’attività di erogazione istituzionale, prettamente ispirata al sostegno finanziario, che non potrà più essere considerata prioritaria.
Nell’ambito di un approccio rinnovato, l’obiettivo è di mettere al servizio del territorio anche le risorse umane e professionali che la struttura della nostra istituzione ha il vanto di annoverare. Particolare attenzione viene rivolta al fund raising, non solo per le necessità di finanziamento interno, ma anche degli stakeholder, nonché la valorizzazione a livello nazionale ed internazionale del “marchio” della Fondazione e del territorio, incrementandone la capacità di attrarre risorse.
Così la Fondazione vuole continuare a incidere, a essere comunque volano di sviluppo, e rivendica con orgoglio tutto ciò che grazie a essa, ai suoi amministratori, alla dedizione e all’impegno dei suoi dipendenti, è stato fatto finora nel corso di tutti questi anni, e che troppo rapidamente si vorrebbe dimenticare, attraverso un’ingiustificata e inconcepibile ingratitudine.
Vorrei ricordare che le erogazioni della Fondazione e i cofinanziamenti movimentati sono arrivati a rappresentare il 4% del pil annuo della nostra provincia. La Fondazione ha erogato in questi ultimi quattro anni circa 214 milioni di euro a progetti di terzi e oltre 90 per progetti propri. A ciò si aggiunge il consistente supporto dato per l’attività della Finanziaria Senese di Sviluppo che ha permesso di sostenere piccole e medie imprese del nostro territorio.
Chi dice che di questi interventi finanziari non si vedono gli effetti non è capace di guardarsi intorno e di valutare concretamente la realtà dei fatti, senza considerare inoltre lo sforzo compiuto per abbattere i costi di funzionamento della Fondazione diminuiti di circa il 50 per cento, con percentuali anche superiori per quanto riguarda gli organi statutari.
Il cammino per la Fondazione si presenta ancora lungo, difficile e con rischi ancora non del tutto scongiurati, ma di periodi bui la storia della comunità senese ne ha conosciuti, riuscendo sempre a trovare la forza e la capacità di risorgere, tenendo alto il prestigio e il ruolo di un territorio che pur nelle sue dimensioni limitate, ha saputo essere grande protagonista in ambito nazionale e non solo. La fiducia dunque è d’obbligo e non per pura convinzione formale. Esistono risorse, conoscenze, capacità che consentono di guardare avanti. Se solo si sapranno superare contrasti, rancori e inutili dietrologie, ritrovando la necessaria coesione, l’eredità che ora affidiamo ai nostri successori rappresenta un piccolo, grande seme che potrà germogliare e dare nuovamente frutti rigogliosi.