Urla e pianti. Gioia e amarezza. Tutto si è mescolato dentro una Piazza del Campo gremita di persone. In migliaia hanno assistito al Palio del 2 luglio, dedicato alla Madonna di Provenzano, e hanno atteso questa corsa del cuore. Senesi e turisti si sono ritrovati avvolti in uno spazio, dove i primi hanno contaminato gli altri con ansia e trepidazione.
Un tempo senza lancette per veder sfilare la storia di Siena. Colori e suoni, impregnati di odori, hanno riportato il passato nel presente.
Poi finalmente tutto è ripartito. Il mossiere, Bartolo Ambrosione, ha iniziato a chiamare i cavalli tra i canapi: Valdimontone, Lupa, Torre, Istrice, Leocorno, Civetta, Oca, Onda, Pantera e Nicchio di rincorsa. E’ lui a dare la partenza. E la lancetta del tempo è ripartita. Scatta in testa la Torre, inseguita da Istrice e Lupa. Tre giri su quell’anello di tufo mentre la polvere gialla si mescolava all’aria e il cuore impazziva.
Alla prima curva di S. Martino la Torre prova ancora a guidare la corsa, ma l’Oca guadagna terreno e la sorpassa. Inutile l’inseguimento delle altre Contrade.
Il popolo di Santa Caterina ha in mano il Palio. La bella opera realizzata da Claudia Nerozzi, carica di simboli così amati dalla città, è già nella Chiesa di Provenzano. Tutta Fontebranda ringrazia la Vergine per il sogno avverato. Hanno conquistato il loro sessantacinquesimo drappellone, dopo solo due anni dall’ultima vittoria. Una corsa magistralmente condotta da Giovanni Atzeni, detto Tittia su Guess, un castrone grigio di 11 anni. Per il fantino è la sua terza gloria, e sempre con i colori dell’Oca. I contradaioli dell’Oca, da stasera, festeggeranno per mesi.
La Piazza si è svuotata. Chi non ha vinto è già a casa a riguardare, in replica TV, la corsa. Cercano spiegazioni nel commentare l’amara sconfitta. Dopo le lacrime hanno bisogno di trovare un perché. Ma a Siena non è facile. Qui si corre solo per vincere, e, per un anno intero, si aspetta questo momento.
Una realtà difficile da capire, soprattutto per tutti coloro che non sanno che i senesi imparano a riconoscersi prima nella bandiera della Contrada di appartenenza, poi in quella della città e, infine, nel tricolore. Forse è per questo che lo stemma della città è uno scudo per metà bianco e per l’altra nero. Come si poteva raccogliere tutto l’individuale cromatismo dell’araldica contradaiola senza far torto a nessuno?
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