Sono 800.000 le donne nate dopo il 1973 che affermano di essere state licenziate o costrette a dimettersi dopo la maternità: questo il dato sconfortante e sconcertante che emerge da una ricerca ISTAT pubblicata nel 2011.
E’ il “fenomeno” delle cosiddette “dimissioni in bianco”, ovvero la pratica ricattatoria secondo la quale fasce di lavoratori “deboli” come donne in maternità, verrebbero costrette, contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro a firmare una lettera di dimissioni priva di data. Scopo della lettera è quello di avere la possibilità di “liberarsi” in qualsiasi momento, senza corrispondere alcuna indennità, della lavoratrice o del lavoratore “scomodo”. Scomodità provocata, come attesta l’esperienza, prevalentemente dalla nascita di un figlio, dalla malattia o dall’infortunio, dai rapporti con i sindacati, e comunque in tutti casi in cui il lavoratore diventa troppo costoso in termini fiscali e previdenziali.
Quello delle “dimissioni in bianco” è un tema che mi sta molto a cuore. La Provincia di Siena ha già adottato una mozione che contrasta questo fenomeno e farò di tutto per applicare gli stessi provvedimenti con rigore anche nel Comune di Monteriggioni. E’ questa infatti, una delle piaghe più sommerse e invisibili del mercato del lavoro in Italia: una clausola nascosta nel 15% dei contratti a tempo indeterminato che colpisce due milioni di dipendenti (il 60% dei quali lavoratrici donne). E nell’80% dei casi resta un reato impunito e taciuto.
Le cifre fornite dal governo nel 2011 sono piuttosto eloquenti: se nel 2009 le dimissioni per maternità sono state 17.878, nel 2010 sono arrivate a 19.017, lasciando intendere che negli anni più pesanti di una crisi epocale, 36.895 donne avrebbero deciso di abbandonare il lavoro alla nascita del figlio, ufficialmente per carenze dei servizi all’infanzia o per il loro costo elevato.
Questi dati sono stati estrapolati dalla relazione che accompagna la proposta di legge “Disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie del lavoratore e del prestatore d’opera” (testo unificato di due proposte, una del gruppo SEL e una del gruppo PD) che questi giorni è stata approvata alla Camera. Il testo, che ora passa all’esame del Senato, disciplina le modalità di sottoscrizione della lettera di dimissioni volontarie e della lettera di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro nella speranza di contrastare questo fenomeno sin dalle origini.
In attesa che il Senato proceda nell’analisi della proposta di legge, credo che sia necessario che gli enti pubblici inizino a fare quanto possibile per evitare questo tipo di abuso. Si tratta di piccoli, ma significativi gesti di civiltà che andranno a far parte di un preciso quadro di interventi volti a rendere la nostra comunità come un modello di città solidale, più giusta e attenta ai bisogni delle donne e delle categorie protette.
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