Sei filosofi, un sociologo e un centinaio di studenti toscani. Insieme a molte altre persone che questa mattina hanno affollato l’auditorium di Santa Apollonia in Firenze, si sono confrontati – all’interno del convegno internazionale promosso da Regione Toscana sulla Shoah, per la Giornata 2012 della Memoria – su un versante insieme affascinante e terribile: il senso della condizione umana dopo “il male radicale” dello Sterminio.
Zygmunt Bauman, il sociologo, si è trovato davanti un nutrito gruppo di liceali toscani (“Forteguerri” di Pistoia, “Niccolini Ralli” di Livorno, “Galilei” di Firenze, “Cicognini” di Prato) che con i loro professori non si sono persi una battuta dello studioso che quasi un quarto di secolo fa, con il suo “Modernità e Olocausto” ha scritto pagine fondamentali sulla “normalità” dello sterminio che in questi giorni viene ricordato prendendo a simbolo l’apertura (27 gennaio 1945) dei cancelli di Auschwitz.
I filosofi (tutti italiani, tranne Susan Neiman, “Einstein Forum” di Potsdam) avevano il compito di “esaminare le forme e le ragioni del processo che ha portato a considerare Auschwitz l’emblema stesso del male politico”. Si sono cimentati nel non semplice compito – coordinati da Furio Ceruttti (Università di Firenze) – Roberto Esposito (Istituto Scienze Umane, Firenze), Massimo Giuliani (Università Trento), Susan Neiman (Einstein Forum, Potsdam) con Dimitri D’Andrea ed Enrico Donaggio (Università Firenze e Torino) nel ruolo di discussant.
Ma è stato indubbiamente l’87enne sociologo polacco di cittadinanza inglese che ha insegnato all’Università di Leeds, il relatore più atteso dagli studenti anche con le sue considerazioni finali circa la effettiva capacità di imparare qualcosa dagli eventi dell’Olocausto (o Shoah, come lui stesso ha dichiarato di preferire in termini concettuali).
Resteranno nel ricordo degli studenti le considerazioni di Bauman sulla “predisposizione (al male) della gente comune”, la citazione degli esperimenti di recente condotti su altri studenti, scelti per partecipare a ipotetiche azioni crudeli, con la stragrande maggioranza di essi che hanno deciso di andare avanti, non si sono opposti. Resterà la trasposizione sociologica e filosofica, applicata alla Shoah, del principio matematico noto come “campana di Gauss“: quella sorta di curva regolare che identifica i diversi atteggiamenti delle persone comuni davanti al male; da un lato pochissimi che “si rifiutano”, dall’altro pochissimi che “si divertono” e nel mezzo la grande maggioranza dei “servi volontari”.
Resterà, agli studenti, l’interrogativo di Roberto Esposito (Filosofia Teoretica) che accennando al ruolo di medici tedeschi assolutamente subordinati al disegno criminale, si chiedeva “perché proprio coloro cui era affidata la vita accettarono di diventare sacerdoti della morte” per poi sviluppare un ragionamento, certo non concluso con la fine del nazismo, sulla “Tanatopolitica” o politica che diventa morte.
E i liceali avranno gustato la raffinata lezione di Massimo Giuliani che per rispondere alla domanda iniziale (“Cosa sappiamo in più sulla umanità dopo Auschwitz?”) si è confrontato con il pensiero di Emmauel Levinas e Hans Jonas nonchè sul significato della “passione” e della “sofferenza” partendo dall’icona del Cristo morente in croce.
Sempre in rapporto alla questione del “male”, non sarà sfuggita ai giovani la lezione di Susan Neiman sul rapporto fra un “olocausto” naturale (esemplificato nel tragico terremoto di Lisbona – 1775 – con i suoi 90 mila morti) e l’Olocausto nelle camere a gas compresa la, certo non nuova, domanda sulla “intenzionalità” di compiere il male.
Una mattinata densa, chiosata prima delle repliche finali, dalle poche parole di Alberto Tonini (presidente del Forum per i problemi della pace e della guerra, associazione co-organizzatrice, insieme a Regione Toscana, della due giorni fiorentina). “Il nesso nel rapporto Shoah/modernità – ha detto – sta non solo nel numero elevato delle vittime, ma anche in quello, anch’esso elevato, dei responsabili o dei co-responsabili”. E ha fatto, Tonini, un esempio: “funzionari, macchinisti, guidatori di camion, delatori, condomini, medici, infermieri, funzionari, addetti alle pulizie …” che con il loro lavoro, e senza indignarsi, contribuirono a rendere possibile, nei lager, la normalità del male.
Tuttavia – ha chiuso Bauman citando un testo intitolato “Dopo l’oscurità c’è sempre la luce” – non vanno dimenticate le persone che seppero e sanno resistere al male. Da un punto di vista personale, ciò ha costi molto alti ed è certo più facile restare nella condizione di “servi volontari”.
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