di Santino Gallorini
Non mi voglio far coinvolgere più oltre in una polemica senza sbocchi e con nessuna possibilità di convergenza delle opposte tesi sul Viva Maria e sui fatti di Siena. Anche perché vedo come non si risponda all’oggettività dei documenti, ma si perpetuino le medesime tesi ormai sorpassate.
Volenti o nolenti, i fatti del Viva Maria si possono configurare come una vera guerra civile. C’è un esercito invasore (quello francese, la Legione Polacca del Dabrowski il 15 maggio era già a Firenze e nei giorni seguenti si portò nella Pianura Padana); un esercito violento e rapinatore, che in più parti d’Italia (e d’Europa: ricordate “Le fucilazioni del 3 maggio” del Goya?) portò alla sollevazione le popolazioni. Ci sono dei “collaborazionisti”, che attendevano da tempo quella venuta dei francesi. Ci sono gli insorgenti che vedono negli invasori e nei loro collaboratori dei nemici. Da qui le rappresaglie violente di cui tutti sappiamo. Nel 1799 subirono le rappresaglie i filo francesi, nell’ottobre del 1800 le truppe francesi – tornate ad Arezzo – violentarono, percossero ed uccisero senza pietà: 36 morti, tra cui Maddalena Bichi di 3 anni.
Ma a Siena ci fu qualcosa di più e di diverso. Qui oltre alle violenze contro i filo francesi, ci fu l’assalto al Ghetto con 13 ebrei uccisi, portato in massima parte dalla teppaglia senese. E bisognerà pure ricercarne i motivi. Tenendo ben presente sia le accuse dei Massari della Nazione Ebrea senese alla Città (“perpetua macchia indelebile alla Città di Siena”), sia l’opera degli ufficiali delle bande del Viva Maria, nel cacciare dal Ghetto gli assalitori, nel tutelarne gli accessi con sentinelle, nel far sprangare le botteghe violate e nel far restituire quello che possono recuperare ai saccheggiatori.
E invece si “risuona” lo stesso disco. Interviene Laura Vigni (esponente della lista Sinistra per Siena) e auspica una lettura “senza condizionamenti ideologici” per i fatti del 1799. Salvo esporre una serie di valutazioni “ideologiche”, senza sufficienti supporti storici. Parla di revisionismo e “furia revisionista”, mentre nel mio libro e nei miei interventi ho citato testimonianze e documenti veri ed autentici, spesso inediti, e quindi si tratta di ricostruzioni di fatti, non di revisione di giudizi. Cita la ricevuta firmata dall’ebreo Castelnuovo a Gaetano Bandini che gli restituisce delle carte a lui rubate, facendo intendere che il ladro fosse il Bandini, ma non spiega che nell’Archivio di Stato di Siena vi sono molte di queste ricevute: i giorni seguenti il saccheggio alle abitazioni degli ebrei e dei filo-francesi, il comandante austriaco Karl Schneider emanò un bando che intimava la restituzione degli oggetti rubati. E sembrerà impossibile, ma molti oggetti furono davvero riportati e riconsegnati ai legittimi proprietari (nonostante quello che scrisse il Brigidi!). E i legittimi proprietari rilasciavano regolare ricevuta alle autorità provvisorie, alle quali apparteneva anche il Bandini.
Io non voglio attribuire colpe a nessuno, sono i documenti conservati a Siena con i nomi dei condannati per i 13 trucidati e le testimonianze dei feriti e dei derubati che accusano. Così come nessuno spiega il perché delle minacce agli ebrei della primavera del 1800 – che costrinsero Bargello e Governatore a far presidiare il Ghetto – quando non c’era alcun esponente del Viva Maria in giro per Siena…
Sulle ricostruzioni del Brigidi, non mi dilungo nemmeno. Basta leggerle per capire chi le ha scritte. E lo stesso professor Roberto Salvadori mi ha più volte detto di non aver voluto utilizzare quei lavori di fine Ottocento perché viziati da un anticlericalismo viscerale.
A Groppa vorrei sommessamente dire che né Salvadori, né Barzanti e né qualche altro studioso ha mai contestato i documenti e le ricostruzioni del mio lavoro. Sono le conclusioni che divergono. Ma io ho spiegato come esse siano differenti a seconda delle appartenenze ideologico-politiche degli studiosi: Barzanti, Tognarini, Salvadori ecc. da una parte, Sanguinetti, Viglione, Cardini ecc. dall’altra. E la lapide attaccata sul muro della Sinagoga di Siena, l’hanno scritta i primi.
Per fortuna qualche libertà c’è ancora rimasta in Italia e quindi ciascuno la può pensare come vuole, senza obbligare gli altri ad uniformarsi alle sue visioni della storia.
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