Il primo architetto cinese a vincere, quest’ anno, il Pritzker, non ha dubbi: “Perdere il proprio passato – dice Wang Shu – vuol dire perdere il proprio futuro”. E infatti, lui che di antico e moderno se ne intende, sceglierebbe di vivere proprio nella nostra città. “Il futuro è nella campagna, nelle piccole città a dimensioni d’ uomo – ha spiegato Wang Shu nel corso di alcune recenti interviste -Poco importa che siano fisicamente lontane tra di loro, perché ormai, almeno in Cina, i trasporti consentono di spostarsi in tempi brevissimi”. E alla domanda se c’ è una città italiana dove gli piacerebbe vivere, l’architetto cinese nha chiarito: “Ho visitato Como e l’ ho trovata bellissima, ma forse l’ ideale potrebbe essere Siena”, non a caso una piccola città legatissima al proprio territorio e alla propria campagna. Un omaggio alla città del Palio, insomma, da una delle menti più illuminate dell’architettura contemporanea.
Del resto, il suo punto di vista sta nell’intercettare vecchi e moderni stili. Nei progetti firmati dall’Amateur Architecture Studio (da lui fondato nel 1997 a Hangzhou con la moglie Lu Wenyu) si intrecciano tradizioni antiche e nuovi bisogni. Come per lo Xiangshan College alla China Academy Art (2004-2007): due milioni di tegole di recupero “mescolate” al cemento per ottenere un migliore isolamento termico. O per la Libreria del Wenzheng College alla Suzhou University (1999-2000): vecchi metodi di giardinaggio al servizio dell’ ecosostenibilità. O per l’ History Museum di Ningbo: un assemblaggio di mattoni grigi della dinastia Ming per ravvivare la memoria di una tecnica artigianale, il wan pan, destinata a sparire. Ma il percorso indicato da Wang Shu, a Milano per una lectio magistralis (ieri pomeriggio alla Triennale) e per inaugurare la mostra “From research to design” dedicata ai progettisti della Tongji University di Shanghai (fino al 23 settembre sempre in Triennale), non è così semplice. “La tradizione non deve essere mai opprimente, non deve trasformarsi in un handicap per i giovani architetti, ma deve diventare uno stimolo concreto – ha spiegato al Corriere della Sera -. Un problema che secondo Wang Shu (che cita tra i maestri Carlo Scarpa e Aldo Rossi) tocca “i giovani progettisti italiani come quelli cinesi” (quanti sono? “Uno ogni trentamila abitanti”). E che si associa a una variazione, in qualche modo, perversa della tecnologia e dei nuovi media: “Ai giovani consiglio di prendere davvero coscienza della realtà che li circonda e non di ispirarsi ai modelli e alle soluzioni che arrivano dalle nuove tecnologie, rendering compreso. Altrimenti corrono il rischio di non avere futuro e di non darlo nemmeno alle loro città”. Le metropoli, appunto, sono un altro degli snodi dell’ architettura secondo Wang Shu: “Sfruttare il desiderio di esibire e di apparire dei nuovi ricchi finora ha prodotto solo grattacieli sensazionali, ma non ha certo cambiato in meglio le nostre città”.
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