Per quale motivo parlare dei figli che si prendono cura dei propri genitori con patologia tumorale? La diagnosi di cancro coglie tutti impreparati e modifica i ruoli che siamo abituati a vivere. Oltre al necessario supporto che necessita il malato, sarebbe bene prestare attenzione anche ai familiari che gravitano intorno a lui.
In questo articolo desidererei parlare in particolare del delicato ruolo che hanno i figli. Facendo un’analisi della letteratura internazionale in ambito psicologico, è emerso che, sebbene nell’ultimo decennio sia stata posta in ricerca particolare attenzione al ruolo del caregiver, inteso come persona che “si prende cura”, scarso interesse è emerso nei confronti dei figli che assumo questo particolare ruolo. Importanti studi condotti negli ultimi anni, si sono concentrati sul vissuto psicologico e i possibili risvolti psicopatologici del coniuge che assume il ruolo di caregiver. Altri studi hanno poi posto l’attenzione alle reazioni psicologiche dell’intera famiglia del malato. Fermo restando l’importanza di questi argomenti, mi preme sottolineare che ancora poche indagini si sono focalizzate sulla risposta psicologica dei figli di pazienti malati di cancro. Una di queste è stata pubblicata 11 anni fa dalla famosa rivista scientifica Clinical Psychology Review. Gli autori di questo studio hanno rilevato che il supporto dei figli, supporto sia psicologico/emotivo che sociale e materiale/relazionale, può essere considerato un elemento che ha un forte impatto nella qualità della vita e nella risposta ai trattamenti del malato stesso. Il ruolo di figlio e al contempo di caregiver del genitore, coincide in circa il 20% dei casi.
All’interno di questo quadro di riferimento, è bene citare le assunzioni di base del modello bio-psico-sociale, tanto discusso ma tutt’ora non sempre applicato. Secondo questo modello, elaborato a cavallo tra gli anni 70 e 80 da Engels e Scwartz, ogni condizione di salute o di malattia è conseguenza dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali. Da ciò deriva l’importanza di monitorare tutte e tre queste variabili, all’interno di un percorso di cura, senza sottostimare ad esempio l’importanza del “sociale” come talvolta implicitamente suggerito nelle Società ad impronta individualista, nelle quali il “self” è visto come indipendente e autonomo rispetto alla società. Alcuni studi hanno evidenziato che in percentuali variabili tra il 27 e il 53%, i figli di pazienti con patologia tumorale riferiscono sintomi che dovrebbero essere posti all’attenzione di una consulenza psicologica. Riguardo a queste difficili situazioni è bene sottolineare l’efficacia che il sostegno e la consulenza psicologica può offrire.
In ogni caso, se da un lato, molti autori lamentano una scarsità di ricerche che si sono concentrate specificatamente sui figli di genitori malati di cancro che assumono il ruolo di caregiver, dall’altro, la letteratura esistente sottolinea l’importanza del ruolo del figlio all’interno del processo di cura. Quali sono i suggerimenti che possono aiutare il figlio a sostenere il genitore durante il percorso di cura? Per prima cosa, ascoltate consapevolmente. Ascoltare può sembrare facile, ma in realtà è spesso sorprendentemente difficile. Lasciate che il vostro caro esprima le proprie emozioni, anche quando queste sono negative. Sospendiamo il giudizio, come se si fosse raccolti in religioso silenzio e ascoltate attentamente con l’intero corpo, non solo con le orecchie. In secondo luogo, non risparmiate i “ti voglio bene”.
Certo, con le azioni già glielo state dimostrando, ma sentirselo dire è anche meglio. Terzo, offrite loro aiuto pratico: nonostante la malattia, la vita continua. Non aspettate che sia lui o lei a chiedervelo, ma offrite loro il tempo che potete al fine di sbrigare pratiche che prima era lui a fare. Quarto aspetto: andate con loro alle visite. Partecipare agli incontri con l’ospedale esprime la vostra attenzione e talvolta allevia lo spavento di ciò che stiamo facendo. Al contempo, quinto aspetto, rispettate il loro bisogno, quando lo richiedono, di stare soli. In alcuni casi, è importante fare i conti con se stessi. Sesto, siate attivi nella raccolta di informazioni.
Non abbiate premura di fare domande al medico di riferimento, ciò vi aiuterà a dipanare la nebbia che spesso viene avvertita. Settimo aspetto, talvolta trascurato, aggiungete un po’ di humor. Ciò non vuol dire banalizzare, ma essere pronti a ridere e scherzare con il vostro caro: spesso il sorriso è una potente medicina. Inoltre, ottavo suggerimento, aiutate loro a trovare supporto psicologico: in molti casi, la risonanza emotiva che accompagna la malattia necessita di aiuto specialistico. Infine, due aspetti che riguardano, in senso stretto, il figlio: affrontate le vostre sensazioni e prendetevi cura di voi. Passare attraverso i dubbi, guardare negli occhi le paure e fare i conti con il proprio vissuto vi aiuterà ad aiutare meglio il vostro caro.
Al contempo, mantenere, per quanto possibile, il proprio stile di vita, dormire, mangiare regolarmente e mantenere vivi i vostri piaceri vi darà modo di avere più energie nell’assistenza del vostro amato. A conclusione di quanto detto, ripensando al modello bio-psico-sociale già citato in apertura, si sottolinea, l’importanza che può assumere la multidimesionale presa in carico del paziente, caratterizzata dall’intervento di differenti figure e professionalità tra loro interconnesse. Questa interconnessione, oltre che avere i suoi effetti positivi sulla cura stessa del paziente, è anche volta al miglioramento dell’adattamento dei figli al cancro dei genitori, che a sua volta può contribuire a migliorare l’intero percorso terapeutico da un punto di vista sia biologico sia psicologico che sociale.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo e Dottore di Ricerca in Psicologia