foto di Reno Siradze via Flickr
A Siena, dunque, fin dal XII secolo l’ospedale di Santa Maria della Scala è il primo protagonista (primo in ordine di tempo e in relazione al peso acquisito in questo campo) in ambito assistenziale, definito giustamente, da Duccio Balestracci, come una vera e propria “macchina dell’assistenza”. L’ente ospedaliero racchiude in sé, fin dalla sua origine, tutte le funzioni che un ente caritativo medievale deve possedere: è il luogo in cui si alimentano e si curano i malati; dove si fa elemosina ai poveri; dove si fermano i pellegrini; dove si accolgono e si educano bambini abbandonati.
Il Santa Maria della Scala, poi, nel corso dei secoli assumerà funzioni più complesse e, economicamente e politicamente più strategiche: sarà, grazie alla rete delle grance (le fattorie) che possiede nel territorio, il “granaio” della città (specie nei momenti di crisi, di carestia o di guerra), oppure funzionerà come un vero e proprio ente di credito.
Nelle scorse settimane abbiamo raccontato come, già nel XVIII secolo, si abbandona la favolistica storia del ciabattino Sorore, e come l’ospedale, invece, pur essendo all’inizio uno dei molti luoghi destinati all’assistenza di fondazione ecclesiastica, parte, possiamo dire, in una posizione di forza dato che è una “creatura” dei canonici del duomo, dunque della chiesa più importante e potente di Siena.
Ma per il Santa Maria della Scala le cose evolvono velocemente: fra il 1194 e il 1195 il papa Celestino III concede la protezione apostolica alla comunità ospedaliera e ai suoi beni, e, soprattutto, riconosce ai frati dell’ente ospedaliero una libertà totale nella scelta del proprio rettore svincolandoli così da ogni rapporto di reale subalternità nei confronti dei canonici.
Il Santa Maria è, certo, ancora di proprietà della canonica del Duomo e il rettore giura obbedienza all’arciprete della canonica, ma quest’ultimo, in cambio, gli concede la piena amministrazione (e, con questa, la piena autonomia) dell’ospedale stesso.
Il gioco è fatto. Il Santa Maria della Scala può, ora, agire senza vincoli operativi nei confronti di nessuno e portare avanti la sua politica: assistenziale da un lato; patrimoniale dall’altro.
La prima si trova già esplicitata chiaramente nelle due regolamentazioni statutarie che l’ospedale si dà nel 1305 e, soprattutto, nel 1318. Questa seconda redazione, infatti, riserva uno spazio notevole proprio all’aspetto assistenziale: si stabiliscono le modalità di accettazione degli infermi, la loro ammissione e la loro cura: saranno ricoverati dietro parere di due medici; saranno curati da un’equipe formata da un medico, un chirurgo e uno speziale; saranno ospitati in letti forniti di lenzuola e di coperte.
I bambini abbandonati verranno accolti e dati a balia, verranno istruiti e seguiti fino alla maggiore età; alle femmine sarà insegnato un mestiere e sarà loro data una dote per il matrimonio.
I pellegrini troveranno cibo e un letto per la notte. Il Santa Maria fa di più: funziona da cassetta di sicurezza: coloro che in viaggio verso Roma o oltre vorranno lasciare i propri beni (denaro o preziosi) nelle casse dell’ente senese potranno farlo in tutta sicurezza e, dietro compenso per il deposito, li riprenderanno sulla via del ritorno, in barba ai pericoli della strada e ai briganti che possono trovare lungo la Francigena.
Si stabilisce, inoltre, che una volta alla settimana verà corrisposta l’elemosina di pani interi alle famiglie povere “certificate” come aventi diritto all’assistenza continuativa dell’ospedale, mentre il pane e il cibo che avanzeranno dalla mensa interna verranno dati, senza altra formalità, a chi si presenta a chiedere la carità, anche se è persona mai vista prima (e in questo, anche in questo, forse, avremmo da imparare oggi).
La vicenda patrimoniale, a sua volta, si evolve grazie al prestigio che il Santa Maria della Scala acquista all’interno della società senese entro cui agisce: con le donazioni, i molti lasciti testamentari e le oblazioni si forma, infatti, e nemmeno troppo lentamente, un patrimonio fondiario che nel tempo diventerà il più ingente della città. E il più ambito, sul quale il Comune non tarderà a mettere gli occhi (e le mani).
di Roberto Cresti e Maura Martellucci