Epoca che vivi, usanze che trovi. Già, è proprio così e forse lo è sempre stato. Non è certo una novità il fatto che una determinata generazione presenti caratteristiche, usi e costumi, ritenuti del tutto inappropriati dalle generazioni precedenti e da quelle successive.
Le attuali generazioni di adolescenti, post-adolescenti e giovani adulti si stanno confrontato con un utilizzo della tecnologia mai avuto precedentemente. In molti parlano infatti di nativi digitali. Alla stregua dei fanatici adoratori della tecnologia finemente e nichilisticamente descritti da Houellebecq in La possibilità di un’isola, i “quindicitrentenni” che popolano questo secondo decennio del 2000 non staccano mai gli occhi dal fidato apparecchio multimediale, pc, telefonino o tablet che sia.
Questi strumenti hanno infatti in alcuni casi migliorato, in altri peggiorato, ma comunque, in ogni caso, hanno contaminato e condizionato ogni aspetto della vita. Poteva per caso mancare il sesso? Assolutamente no! Quest’ultimo ambito, fino a poco tempo fa considerato dai più un ambito privato, ha subito negli ultimi tempi una metamorfosi culturale. Avete mai sentito parlare di sexting? Il termine anglosassone sexting, deriva dall’unione di due parole sex (sesso) e texting (pubblicare testo). Il sexting consiste nell’inviare, nel ricevere o nel condividere online testi, video o immagini sessualmente esplicite.
Spesso queste immagini, video o testi sono realizzati e diffusi con il cellulare, tramite e-mail, WhatsApp, chat o simili. Anche se inviate ad una singola persona ritenuta fidata dal mittente, si possono diffondere rapidamente e in modo incontrollato. Possiamo dunque immaginare le ripercussioni e i problemi che tale diffusione può creare nei soggetti coinvolti, sia da un punto di vista personale che legale. A tal riguardo è infatti bene ricordare che l’invio di foto che ritraggono minorenni in pose sessualmente esplicite configura un reato che ha nome e cognome: reato di distribuzione di materiale pedopornografico.
Come sta invece la questione se parliamo di adulti consenzienti? La letteratura a tal riguardo ha opinioni discordanti. Alcune recenti ricerche non danno una buona opinione del sexting. Questa pratica sembrerebbe infatti associata a vari comportamenti a rischio tra i giovani adulti, come ad esempio il sesso non protetto, partner sessuali multipli e assunzione di droghe. Altri studiosi hanno invece rilevato anche qualcosa di positivo. Secondo un recente studio condotto presso la statunitense Drexel University, il sexting, se messo in atto da adulti consenzienti, porterebbe benefici alla soddisfazione sessuale. Più dell’80% dei partecipanti che ha preso parte a questo studio, ha dichiarato di essersi scambiato foto o filmati sessualmente espliciti con la propria o il proprio partner. Il 75% di questi si sono dichiarati fedelmente fidanzati o sposati. Partendo da questi dati, gli studiosi hanno sottolineato che il sexting, se condotto all’interno di una relazione seria tra persone adulte e consenzienti, potrebbe essere considerato indicativo di una buona comunicazione all’interno della coppia. In tal senso, può essere inteso come un gioco, un divertimento, una forma di complicità. Può essere infatti il pepe all’interno di un rapporto, un modo particolare per comunicare all’altro le proprie fantasie erotiche e per scoprire reciprocamente i rispettivi interessi sessuali, che potrebbero inibire alcuni se riferiti faccia a faccia. In realtà, sebbene il sexting sia un prodotto di nuova generazione, la sua sostanza ha antiche origini. Già James Joyce, circa cento anni fa, scriveva lettere ad alto contenuto erotico a Nora! Per poi non parlare dell’utilizzo fatto da molti con le prime Polaroid…
Nel bene e nel male dunque, il sexting esiste e, da un certo punto di vista, è come se ci fosse sempre stato. Non sono certo qua a giudicare, ma da psicologo, preferisco descrivere e informare. Questa pratica può essere condannata da alcuni e giudicata positivamente da chi la vive all’interno di una relazione felice, ma non possiamo certo ignorarla, considerando che, in ogni caso, fa comunque parte integrate della nostra realtà. Ricordiamoci, in ogni caso, che tutto ciò che condividiamo può essere rubato, senza il consenso dell’interessato, quindi cerchiamo di porre particolare attenzione a che cosa facciamo e con chi lo facciamo, per evitare di trasformare una cosa piacevole in spiacevole. A tal proposito, ricordo una storia Zen. Un soldato che si chiamava Nobushige andò da Hakuin e gli domandò: “C’è davvero un paradiso e un inferno?”. “Chi sei?” volle sapere Hakuin. “Sono un Samurai” rispose il guerriero. “Tu un soldato!” rispose Hakuin. “Quale governante ti vorrebbe come sua guardia? Hai una faccia da accattone!”. Nobushige montò così in collera che iniziò a sguainare la spada, ma Hakuin continuò: “Sicché hai una spada! Come niente la tua arma è troppo smussata per tagliarmi la testa”. Mentre Nobushige sguainava la spada, Hakuin osservò: “Qui si aprono le porte dell’inferno!”. A queste parole il Samurai, comprendendo l’insegnamento del maestro, rimise la spada nel fodero e fece un inchino. “Ora si aprono le porte del paradiso” disse Hakuin. Questa storia ci insegna che l’inferno e il paradiso sono condizioni psicologiche e, in ogni momento, in base ai nostri comportamenti, possiamo passare dall’uno all’altro. È la nostra coscienza che fa la differenza.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo e Sessuologo – Dottore di Ricerca in Psicologia