E SE TUTTO SI RISOLVESSE CON LA COSTRUZIONE DI UN PONTE ?
E che ci vuole?
La crisi? Robuccia… L’industria a pezzi? Si riprende… Le banche in default? Sciocchezze. Le tasse che aumentano? Panzanate… La scuola a pezzi? Bugie… E’ tutto sotto controllo, perché abbiamo in serbo l’arma segreta.
Ma quale arma? Quale è la “grande Berta” dell’economia italiana, il rimedio che ci farà uscire dalle guazze?
“Facciamo un bel ponte, bello grosso, si fa lavorare un po’ di gente e passa tutto”.
In barba ad economisti, studiosi e professori che non hanno trovato rimedi, la soluzione è semplice: per uscire dai casini si fa il ponte sullo Stretto di Messina.
Del ponte si è discusso fin dai tempi di Plinio il Vecchio e di Lucio Cecilio Metello, poi di Roberto il Guiscardo, di Ferdinando II di Borbone ed infine di tutta l’epoca novecentesca, discussioni che furono chiuse definitivamente dal governo Monti con l’emanazione dell’articolo 34-decies del Dl 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con la legge 221/2012) dove si sentenziò la caducazione ex lege degli impegni assunti con la società Eurolink (Salini Impregilo, spagnola Sacyr, Condotte fra i soci) che si era aggiudicata l’appalto del ponte.
Al di là dei ricorsi e delle attività giudiziarie che ne seguirono si decise, in pratica che “il ponte non s’aveva da fare” e tutti i sogni di gloria furono riposti nel cassetto.
Adesso si torna indietro e si individua nella costruzione di questa opera mastodontica (costo complessivo di 5.795 milioni, valorizzato a suo tempo) la panacea contro tutti i mali italici.
Lungi dal fare disfattismo vorrei capire fin dove l’immaginazione ed il folclore economico della politica può arrivare nel tentativo di abuso dell’intelligenza delle imprese, dei lavoratori e del popolo. Oltretutto è stata la stessa politica (vista in maniera trasversale) che nel 2015, a seguito della riapertura della questione da parte di Alfano, arrivò a dichiarare che “il Ponte non era tra le priorità” e che doveva essere considerato “non più urgente” dal ministro Delrio.
Viene quindi spontaneo chiedersi perché. Perché questi inutili proclami? Perché questi dibattiti sul nulla più assoluto, quando il nostro sistema, dall’industria al welfare, è al collasso?
Sarebbe più opportuno, invece che parlare di Olimpiadi o di Ponte sullo Stretto, lavorare per ridurre le spese pubbliche (esagerate) e indirizzare i risparmi ottenuti verso sgravi fiscali per le famiglie ed aiuti agli investimenti per le imprese.
Da parte mia il primo risparmio, di 5.795milioni di euro, l’ho già trovato: non facendo il Ponte sullo Stretto.
Auguri, Italia.
Luigi Borri
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