La certosa di San Pietro, detta anche certosa di Pontignano si trova su di una collina contornata di olivi vicino a Ponte a Bozzone ed era una delle tre sorte nel territorio senese insieme a quella di Maggiano e a quella, oggi scomparsa di Belriguardo.
Venne fondata nel 1343 da Bindo di Falcone Petroni dopo che il suo progetto fu approvato dal vescovo di Siena Donosdeo Malavolti. Il signor Petroni, affidò l’incarico di costruire il monastero a un certosino dell’Aquitania, frate Amerigo, deputato del capitolo di Grenoble, con l’impegno che il monastero potesse ospitare dodici monaci e tre conversi.
Nel 1353 il Petroni fece testamento e lasciò tutti i suoi beni ai certosini di Pontignano. Per creare una qualche difesa alla certosa, nel 1385 fu dotato di un giro di mura.
Purtroppo il luogo riportò molti danni durante la Guerra di Siena (1554-1555) quando venne saccheggiata e semidistrutto tanto che si rese necessaria una ristrutturazione. I lavori si conclusero nel 1607 quando venne ricosacrata dall’arcivescovo Camillo Borghesi. A quest’epoca risalgono anche alcuni interventi artistici, come il S. Romualdo genuflesso del pittore forlivese Antonio Fanzaresi.
Nel 1784 fu soppressa in seguito alle leggi leopoldine. Ne tentarono il salvataggio gli eremiti camaldolesi di Monte Celso ma nel 1810 venne nuovamente soppressa da Napoleone. L’attività ecclesiastica non si interruppe solo grazie al trasferimento a Pontignano della parrocchia di San Martino a Cellole.
Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1959 grazie alla passione e all’impegno del senese Mario Bracci, giudice costituzionale e Rettore dell’Università di Siena, il cenobio venne acquistato e trasformato in collegio universitario dalla stessa università.
La struttura è oggi utilizzata sia per conferenze che per soggiorni. Tra la moltitudine di alloggi offerti, spiccano le antiche celle dei frati, dalle quali sono stati ricavati ampi appartamenti.
Nei dintorni della struttura ho ascoltato molte persone e molte storie e su tutte ne ho trovate due molto interessanti.
La prima leggenda vuole che questi frati non fossero poi cosi’ misericordiosi come volevano far credere.
Infatti molti dei viandanti che si fermavano a questa certosa per rifocillarsi non riprendevano più il loro cammino.
Si racconta che nella notte si davano al cannibalismo, mangiando ancora vivi i poveri viandanti che con la scusa di pregare conducevano in processione nel bosco.
Durante questo speciale banchetto facevano risuonare le campane della chiesa che erano udibili per tutta la zona circostante.
Al suono di queste campane mortali, i fedeli del luogo sapevano che anche quella notte i frati avevano banchettato.
Per questo pare che il nome Pontignano sia un vecchio modo per “riffigurare” il ponte tra la vita e la morte per chi passasse di lì, anche se con molta probabilità il nome è nato dal latino pontifex che significa pontefice.
Un’altra versione racconta che i monaci se pur non uccidendo erano soliti nella notte spaventare e depredare viandanti e pellegrini che transitavano lungo quelle strade.
Gabriele Ruffoli
Le foto sono prese dal sito: lacertosadipontignano.com
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