I colori di Sarah incontrano l’anima grigia di Jonathan e i due si fondono l’un con l’altro, dando vita ad una nuova esistenza, una nuova storia.
Fra la confusione e il brusio della grande metropoli, quella figura minuta e gracile, era facile che passasse inosservata.
Tutti troppi immersi nel loro mondo, tutti impegnati a correre dietro le loro vite. Nessuno prestava attenzione ai dettagli, nessuno li riteneva importanti.
Per una come Sarah, che nome più comune non poteva avere, le minuzie in una persona o in un luogo che la ospitava erano fondamentali. Inquadrava il mondo con i suoi occhi grandi e attenti, scrutando e memorizzando ogni singolo particolare, per poi trasportarlo in una dimensione a lei più congeniale.
Tela, pennelli e tempere rappresentavano il suo mondo perfetto, quello in cui tutto aveva un senso anche nel caos più assoluto. Forme e colori prendevano vita dalle sue mani, e i suoi pensieri si tramutavano in storie che solo un appassionato un acuto osservatore avrebbero potuto identificare o, nel miglior caso, analizzare.
L’arte, però, a suo modesto parere, è per tutti; basta fermarsi e ammirare ciò che sta intorno e capire che il mondo stesso è arte.
È tutto equilibrio anche nel più esasperato disordine.
( . . . )
Accasciato su un marciapiede con un cartello per impietosire i passanti e biasimare se stesso.
Un aspetto che più trasandato non poteva essere e uno sguardo spento a osservare passivamente il mondo.
Era la sua punizione, l’ammontare di un susseguirsi di scelte sbagliate che lo avevano portato ad annullarsi.
Nella tasca di un giaccone, preso da un cassonetto di abiti dismessi, la foto di un uomo curato, lo sguardo vivo e determinato di chi sa di avere tutto a sua disposizione.
Un monito ed un costante ricordo di un se stesso che non c’era più.
Perché Jonathan aveva reso la sua stessa vita un inferno: logorato e consumato da un vizio che gli aveva tolto tutto.
Casa, famiglia, amici.
Era diventato ciò che aveva sempre disprezzato e ci era riuscito rovinandosi con le sue stesse mani. Nessuno lo notava, se non per un attimo, quando per pietà qualche centesimo cadeva nel suo berretto. Il minimo per permettersi un panino, se andava bene, a fine settimana, ed una bottiglia d’acqua.
Jonathan si era scavato da solo la sua fossa e ora ci stava marcendo dentro. Dall’agio più assoluto di una villa lussuosa al freddo e sudicio pavimento di una stazione, coperto solo da un vecchio scatolone di cartone, schiacciato.
Nessuno avrebbe avuto pena per lui, era solo un barbone come altri, ma con un nome di cui ancora si vociferava per le strade.
( . . . )
Tra tutti i volti che aveva ritratto, la maggior parte senza consenso del soggetto, uno solo aveva attirato la sua attenzione. Era emaciato, trascurato e sporco.
Non aveva nulla di bello, a vederlo e a doverlo descriverlo, forse anche a disegnarlo. Ma lei vedeva in quell’uomo la gloria di anni passati, leggeva nel suo sguardo una voglia di vivere che non si era mai assopita, ma che era nascosta sotto strati di tristezza e rassegnazione.
Non sapeva come avrebbe potuto prendere la sua iniziativa, ma aveva intenzione di dargli l’opportunità di vedersi in modo diverso.
Perché lei era così: vedeva negli altri la bellezza nascosta. E questo non solo perché aveva l’occhio di un’artista; aveva imparato che tutti hanno un lato migliore da poter mostrare, basta solo soffermarsi un po’ di più per trovarlo.
E così, dopo averci rimuginato per giorni, dopo aver immaginato tutti i possibili approcci, quel giorno aveva deciso di parlarci.
Il punto è che mentre gli altri vedevano in lui un barbone, lei vedeva un uomo che aveva bisogno di qualcosa in più rispetto a qualche spicciolo.
A lui serviva una ragione per tornare a vivere e rialzarsi, in tutti i sensi.
Perciò si mostrò decisa quando gli dichiarò, dopo essersi soffermata a parlare di cose banali come la fretta delle persone e il rumore assordante del traffico, che lui era il soggetto perfetto per il suo nuovo quadro. E non sarebbe stato un quadro qualunque: poteva essere il ritratto della svolta, quello che avrebbe potuto finalmente impressionare più di qualche occhio esperto.
Ma lui non capiva cosa potesse rappresentare per se stesso il concedersi alle esigenze di una ragazza che non poteva avere più di vent’anni — lui ne aveva una trentina e sembrava molto più vecchio di lei — e che non poteva immaginare che storia ci fosse dietro la sua vita trasandata.
Eppure a lui quella situazione, nonostante fosse la più precaria, la più degradante per un uomo, gli aveva insegnato il valore delle piccole cose. Aveva imparato a condividere, aveva imparato ad accontentarsi e aveva, soprattutto, imparato ad aiutare gli altri.
Lo aveva reso meno egoista di quanto mai fosse stato.
Perciò chi era lui per negarle un favore?
Solo una cosa, però, voleva: andarsene da lì, mostrarsi agli altri in un momento più umano, perché la sua situazione non lo era.
Sperò che lei capisse.
E così fu.
Raccolse lo zaino, in cui aveva tutto ciò che gli rimaneva, e la seguì con la speranza di non dover tornare più in quel posto. Gli offrì un alloggio, il proprio, gli offrì cibo e vestiti — di qualche vicino a cui non servivano più — e lo aveva riportato ad un aspetto quantomeno dignitoso, si diceva lui, mentre si guardava allo specchio.
E cosa doveva fare lui in cambio? Doveva semplicemente stare fermo a guardare il mondo, mentre lei riportava la sua immagine su una tela. Era curioso di vedere il risultato, ma altrettanto timoroso da sapere cosa lei potesse vedere in uno come lui.
Presto lo capì.
Perché quando si sta tanto a contatto con qualcuno, quando si conosce una persona in modo così profondo, si vede in lei ciò che agli occhi degli altri è nascosto.
Perciò mentre gli altri vedevano in lui un rozzo e puzzolente barbone, lei vedeva un uomo con una storia sbagliata che voleva solo tornare a vivere e darsi un’altra possibilità .
E mentre gli altri vedevano in lei una tipa eccentrica, lui vedeva una ragazza buona, comprensiva e piena di vita, con una passione talmente forte da coinvolgerla con mente e cuore.
E bella, maledettamente bella.
Così tanto da fargli desiderare di essere alla sua altezza — un tempo non si sarebbe mai posto uno scrupolo simile, era lui quello “troppo” per chiunque.
Non voleva solo essere gradevole ai suoi occhi; voleva essere tutto ciò che lei aveva visto in lui da quando si erano conosciuti e si era promesso che ci sarebbe riuscito.
Per lei, lo sapeva, ne sarebbe valsa la pena, perché lo aveva fatto alzare, sorridere, lo aveva fatto ricominciare.
Grazie a lei, ai suoi disegni e alle sue risate, alla sua grinta,
lui era tornato a vivere.
Martina Migliaccio