foto di Antonio Cinotti
Sono nato a Siena e non mi abituerò mai alla bellezza del nostro territorio, rimarrò sempre incantato da Piazza del Campo, dalla strada fra Asciano e Monteroni d’Arbia, dagli oliveti attorno a Trequanda.
Lavoro nel turismo da oltre 25 anni e sono sempre più convinto che la “terra di Siena” possa essere un fertile laboratorio di sviluppo – sia per il nostro patrimonio culturale e naturale, sia anche per le politiche che sono state portate avanti negli anni – verso quelle che sono le tendenze del settore a livello mondiale (anche se noi, persi dentro le nostre polemiche di cortile, facciamo finta di non saperlo): un motore di crescita economica, di sviluppo inclusivo e di sostenibilità ambientale, per massimizzare il contributo socio-economico del turismo, a partire da quello accessibile e sociale, riducendo al minimo i possibili effetti negativi.
Purtroppo, se vogliamo essere realisti, dobbiamo prendere atto che non è il tempo, né in Italia né in Toscana, per operazioni di grande respiro, che richiedono scelte politiche forti e lungimiranti da parte delle amministrazioni pubbliche, con capacità di investimento sulle infrastrutture, di progettazione strategica di lungo periodo, e di coinvolgimento reale, nei processi decisionali e nelle loro applicazioni pratiche, della popolazione, delle istituzioni culturali, dell’imprenditoria e del mondo dell’associazionismo.
Disegnare scenari di questo tipo significa – lo dico con rammarico – fare della bella teoria e creare i presupposti e gli alibi per non fare nulla né a breve, né a medio termine. Mancano le capacità e le volontà politiche, non i soldi.
Anzi, il primo passo da fare è proprio quello è sgombrare il campo dalla bugia più usata di questi ultimi anni da tutti gli amministratori pubblici: “Non ci sono i soldi”. Falso. I soldi ce ne sono, e più che sufficienti per fare le cose che sarebbero necessarie. Più semplicemente, e legittimamente, viene deciso di spenderli altrove, in altri settori e con altri obiettivi. La dimostrazione più evidente? Quando i soldi finalmente arrivano, grazie alla vittoria in bandi regionali o europei, o per contributi straordinari, ecco che le le scelte di spesa vanno in direzione “sbagliata”, se non opposta, rispetto alle richieste ed alle esigenze reali.
L’unica cosa davvero intelligente da fare, quella capace di migliorare subito le cose e gettare le basi per la creazione di un contesto favorevole a politiche di sviluppo territoriale in cui turismo, cultura, tutela e valorizzazione del patrimonio artistico, agricoltura e artigianato possano assumere quel ruolo di protagonisti di uno sviluppo economico sostenibile e capace di creare posti di lavoro di qualità è un’altra: cambiare le logiche malate che sono la causa diretta delle carenze che sono sotto gli occhi di tutti.
Ed è assolutamente inutile stare qui a ripetere il solito elenco sulla mancanza di politiche di promozione efficace, alla qualità dei servizi non adeguata rispetto alle aspettative (ed alle bellezze che abbiamo), alla necessità di politiche integrate fra amministrazioni pubbliche e mondo imprenditoriale, alla fragilità economica di settori – molto diversi fra loro – ma che potrebbero garantire una ricchezza più diffusa, anche e soprattutto in aree marginali.
Cambiare le logiche malate in questa nostra terra meravigliosa significa partire dal concetto che i soldi vanno spesi per le cose che servono davvero, e non per interessi di bassa lega o clientelari.
Primo passo: basta spendere soldi in convegni e seminari che tanto non dicono nulla di nuovo ma sono preziose opportunità di visibilità, foto e interviste; basta spendere soldi in ricerche conoscitive su quello che è presente sul territorio, perché lo sappiamo tutti benissimo; basta spendere soldi in studi che hanno il solo scopo di finanziare un dipartimento o un professore universitario; basta spendere soldi in progetti di siti internet ed account social che finiscono per costare cinque volte il prezzo di mercato; basta spendere soldi per tenere in piedi soggetti di proprietà pubblica che non riescono a finanziarsi da soli; basta finanziare iniziative di nessun valore se non quello di accontentare i propri bacini elettorale.
Secondo passo: le cose vanno fatto bene. Si realizzano e si fanno soltanto se è possibile metterci sopra una cifra adeguata ad ottenere un buon servizio. Si inaugura una pista ciclabile o un sentiero soltanto se si hanno i soldi per mettere la segnaletica e per mantenerli puliti; si apre un ufficio informazioni soltanto se si possono pagare in maniera corretta gli operatori che ci lavorano e stampare i materiali necessari; si apre un museo soltanto se ci sono le condizioni per pagare gli addetti alla biglietteria e per garantire i servizi adeguati.
Quindi, basta con il vizio di sottopagare le persone ed avere (nonostante la buona volontà e talvolta l’eroismo dei singoli) servizi scadenti. Meglio rinunciare e concentrare le risorse su un numero minori di cose, ma fatte bene.
Terzo passo: una divisione dei ruoli – chiara e pulita – fra compiti delle pubbliche amministrazioni, delle istituzioni culturali, delle aziende private.
L’esperienza dimostra, a Siena più che altrove, che le aziende assistite non vanno da nessuna parte, con conseguenze spesso dolorose per i lavoratori. Se vogliamo far nascere aziende nuove sane – e le energie e le capacità ci sono – dobbiamo essere consapevoli che non devono né chiedere, né ricevere soldi pubblici, ma avere la capacità professionale, la solidità economica, la tempra imprenditoriale per saper trarre reddito dalla loro attività. E mettere in conto la possibilità di chiudere se non sanno fare il loro lavoro.
Ribaltare queste logiche malate significa – non d’incanto, ma con processi faticosi – creare un ambiente finalmente attrattivo per gli investimenti, che la notorietà e la bellezza di Siena e del suo territorio avrebbero la capacità di attrarre. Se vogliamo che qualcuno spenda dei soldi veri su un territorio bisogna essere credibili e per essere credibili si devono dare garanzie reali e sostanziali di correttezza, trasparenza e serietà. A meno, si intende, di essere invece interessati a investimenti di altro genere, basati su uno scambio di favori che vanno oltre le regole… perché non tutti i soldi hanno lo stesso odore.
Roberto Guiggiani