L’industria automobilistica europea sta ancora vivendo nel segno della crisi dei chip, ossia di quei semiconduttori necessari all’elaborazione di veicoli nuovi, compresi quelli elettrici. Il tutto segna una battuta d’arresto non soltanto all’economia del Vecchio Continente, ma anche a quella voglia e a quel bisogno di mezzi nuovi ed ecosostenibili, così come sono fortemente desiderati dai consumatori, oggi più sensibili alle tematiche ambientali.
Il danno provocato dalla crisi dei chip è avvertito a più livelli dall’economia europea. Di fatto, alcune nazioni risultano più penalizzate: tra queste, la Germania, il cui PIL è più legato che altrove all’industria automobilistica, che per prima sta risentendo dell’assenza di semiconduttori. Il successo dei mezzi tedeschi, tuttavia, si conferma sia nel mercato del nuovo grazie ai suoi grandi marchi, sia in quello dei mezzi di seconda mano e dei passaggi di proprietà, grazie alla qualità dei furgonati Knaus usati, svelando dunque una delle possibili vie per acquisire mezzi di valore e comprovata affidabilità anche in un’epoca in cui il nuovo vede crescere oltre misura i prezzi.
Non è dunque per nulla casuale che, in un periodo di crisi di cui ancora non si riesce a cogliere la fine, i consumatori si stiano rivolgendo al mercato dell’usato e alle piattaforme che lo regolano per entrare in possesso di mezzi affidabili. Il tutto permette di ridare respiro a economie come quella tedesca, che sta risentendo più di altre dalla dipendenza dalla propria industria automobilistica: si stima ad esempio che il PIL tedesco abbia una dipendenza 8 volte maggiore dalla propria industria auto, rispetto a nazioni quali la Spagna o l’Italia. I numeri globali offrono tuttavia una lettura più complessa, in cui le cifre dei prezzi sono tutte al rialzo, vista la mancanza di materia prima che fa lievitare i costi già in fase di produzione, mentre il mercato vive ancora una contrazione, figlia diretta della pandemia.
La situazione merita una profonda attenzione, poiché le ricadute sono percepite principalmente da automobilisti e consumatori, oltre che dalle principali case automobilistiche europee. In breve, l’origine del problema dei chip può essere rintracciata nella pandemia che, com’è noto, ha segnato una profonda battuta d’arresto al mercato, in ogni sua forma: un colpo tanto duro, che le aziende automobilistiche hanno iniziato a sospendere la domanda di chip, immaginando che lo stop sarebbe durato a lungo.
In realtà, il blocco alla domanda di mezzi è durato meno del previsto, ma i chip erano ormai stati destinati, dalle rispettive case produttrici, in altri ambiti, quali quelli legati alle nuove tecnologie di comunicazione. Da questo semplice errore di valutazione, deriva direttamente la mancanza di chip conduttori per l’industria automobilistica, o la loro disponibilità a prezzi più alti, con conseguente aumento del valore del nuovo, specie se elettrico.
Quest’ultima precisazione rende ancora più complicato il quadro, già reso critico dall’aumento del costo dei carburanti registrato nell’ultimo anno, specialmente per i mezzi a combustione endotermica, e dunque a gas, diesel o benzina. Tengono duro certamente i mezzi ibridi e full Electric, ma il dato è ormai evidente: anche il mercato dell’usato comincia a risentire del rincaro dei carburanti, pur rivelandosi l’unica solida alternativa rispetto all’acquisto di un veicolo nuovo, se si desidera la piena proprietà del mezzo.
Purtroppo, resta incerta la capacità del mercato di esaudire il bisogno di una mobilità più ecosostenibile, visto l’aumento dei prezzi dei veicoli full electric: soltanto una scossa, in positivo, all’offerta dei chip e alla situazione geopolitica globale potranno dare luogo a un miglioramento significativo, pare.
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