foto di Teymur Madjderey
“Occhi belli di luce” nelle mie intenzioni costituisce un atto d’amore nei confronti di Siena e della sua Festa. Non solo. E’ anche un gesto di riconoscenza per come la città mi ha accolto a partire da quel lontano 1990 nel quale per la prima volta la visitai. Qui ho trovato una scuola, il liceo classico “Piccolomini”, dove insegno, che col tempo e’ divenuta la mia seconda casa, qui, soprattutto, sono nati i miei tre figli.
Sono convinto che soltanto chi è nato a Siena potrà afferrare fino in fondo l’essenza e l’incanto del Palio. Io mi sono accostato perciò in punta di piedi alla Festa cercando di cogliere e trasporre su pagina le passioni e gli stati d’animo che il contradaiolo vive, ma sui quali, proprio perché li vive con tanta intensità, poche volte si sofferma.
Con questo libro ho voluto riportare l’attenzione anche su quella folla anonima di uomini e donne che non ricoprono cariche dirigenziali nella Contrada, ma che di questa rivelano lo spirito comunitario più vero e più bello. Forse è anche questa la ragione per la quale i capitoli a cui mi sento più legato sono “La storia salvata” e “La vecchia finestra”.
Francesco Ricci, Occhi belli di luce, nuova immagine editrice, Siena, 2014.
“Ma il suono e la consistenza del tufo sotto le suole delle scarpe, l’immagine degli operai del Comune che montano il palco dei giudici o dispongono spessi materassi lungo San Martino, i colpi secchi degli zoccoli dei cavalli dentro l’Entrone prima delle “batterie”, per il senese sono molto di più che semplici ricordi: sono fattori che lo strutturano, lo formano, lo plasmano, lo fanno essere quello che è, gli conferiscono, in sostanza, un’identità. Ecco perché non occorre una madelaine inzuppata nel tè o una frase musicale per risuscitare quelle memorie: quelle memorie, infatti, sono sempre presenti nell’animo del contradaiolo, quelle memorie oramai si sono fatte in lui pensiero, atteggiamento, condotta, sentimento, sguardo sul mondo degli uomini e delle cose. E lo stesso vale ancora di più per tutti gli altri momenti che accompagnano e scandiscono la Festa e che finiscono col riscrivere, in quei giorni, i calendari nelle abitazioni di ogni senese. Di conseguenza, chi perde la possibilità di vivere il Palio, d’immergersi nel Palio, è facile che finisca con lo smarrire anche una parte di se stesso, rendendo ancora più intensa e disperata la perdita che l’esperienza del dolore, ogni esperienza del dolore, comporta.
E’ anche per questo che ritorno spesso con la mente a quella finestra al primo piano in via San Pietro, non distante dalla chiesa con i suoi undici gradini di marmo ormai sporcati dagli anni, perché in essa ritrovo l’incandescente pienezza di certe ore (di gioia) e l’insostenibile vuoto di altre (di dolore), l’estate e l’inverno di esistenze nelle quali non c’è, non può esserci, misura, e comprendo che la felicità di chi oggi corre sotto il palco dei giudici per toccare il palio appena vinto, diventerà domani il sale sulla ferita di chi la vita e l’età hanno condannato a trascinare giorni stanchi e muti di luce. Come quell’uomo dai capelli radi e dal profilo severo che io non ho mai conosciuto”.
Tratto dal capitolo La vecchia finestra.
Francesco Ricci.