L’attuale situazione internazionale appare sempre più caratterizzata da una grande e indiscussa instabilità politica con evidenti conseguenze di natura economica e dal forte impatto sociale sull’intera Europa. Gli eventi bellici in ampie aree del Vicino Oriente e in numerosi Paesi dell’intero Continente africano – anche se non bisogna dimenticare la difficilissima situazione dell’Ucraina, che però si caratterizza per problemi in parte diversi – oltre a causare migliaia di vittime innocenti (ricordo solo, perché recentissima, la tragica e luttuosa strage di Aleppo), sono fortemente destabilizzanti, non solo all’interno dei rispettivi Stati, ma anche in ragione del fatto che generano, com’è ovvio, la drammatica fuga – e questa migrazione epocale è sotto gli occhi di tutti – di numerosissimi cittadini verso Paesi che vengono percepiti non solo come luoghi pacifici, ma nei quali poter iniziare una nuova vita.
Eventi bellici, talvolta caratterizzati da intolleranza religiosa, magari strumentalmente utilizzata, perché spesso sono il frutto di lotte di potere per il controllo di territori e delle risorse naturali che essi sono in grado di fornire. Si generano così ampi ed incontrollati (o meglio spesso controllati da trafficanti di esseri umani) fenomeni migratori che, modificando di fatto la composizione sociale del Vecchio Continente, stanno generando problemi cui la politica europea non riesce a dare risposte sufficienti caratterizzata com’è dagli interessi dei singoli Stati. L’argomento è così ampio che risulta impensabile poterlo trattare in tutte le sue innumerevoli sfaccettature in un testo necessariamente breve. Voglio limitarmi unicamente a ricordare come, in Occidente – un territorio che pure ha conosciuto le guerre di religione e l’intolleranza religiosa fra gruppi confessionali diversi ma tutti identificabili come cristiani – una tradizione giuridica solidissima ha ritenuto, proprio nell’epoca in cui più forti si manifestavano i dissensi e le forme di intolleranza di natura religiosa, che la religione non potesse essere mai ritenuta una legittima causa di guerra.
La guerra sarebbe stata da considerare giusta (sulla scorta del pensiero agostiniano e tomista) qualora avesse avuto almeno uno dei seguenti quattro presupposti: l’autorità competente, la retta intenzione, la giusta causa, la proporzionalità. Come appare evidente la diversità di religione non vi risulta contemplata. Sarà Francisco de Vitoria (1483-1546), domenicano spagnolo, considerato uno dei padri fondatori del diritto internazionale moderno che, nella Relectio de iure belli, riprendendo il pensiero di Tommaso d’Aquino, lo affermerà con molta chiarezza. Ma anche nel mondo protestante, per il tramite del giurista italiano Alberico Gentili (1552-1608), esule in Inghilterra per motivi religiosi, si leverà alta una voce fermamente contraria all’intolleranza religiosa: le cause di religione non possono essere poste a fondamento di dissensi tali da indurre alla guerra, tant’è che l’uomo che entra in relazione con soggetti di religione diversa, non può lamentare la violazione di un suo qualsivoglia diritto, per il solo fatto che altri professino una fede diversa dalla sua. La materia religiosa, infatti, riguarda i rapporti fra l’uomo o la comunità degli uomini e Dio; non i rapporti fra gli uomini, che riguardano il diritto umano. Siamo agli inizi della secolarizzazione del diritto. Princìpi che non produrranno frutti nell’immediato (sono noti gli scontri e le guerre per cause di religione in Età moderna nell’intero Continente europeo), ma che saranno colti Oltreoceano, quando, nella Colonia americana del Rhode Island, verrà proclamata la libertà religiosa universale.
Sono queste alcune delle irrinunciabili basi della nostra civiltà giuridica da cui prender le mosse per tentare di costruire un futuro possibile. Un futuro che non sia fatto di muri e barriere, ma di ponti.
Giovanni Minnucci
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