Partendo dal giurista italiano Alberico Gentili, una riflessione sul ruolo politico della religione e su come l’intolleranza, in particolare quella religiosa, sia fonte di conflitti.
“Ora vi è quella se si possa muover guerra per il solo motivo della religione, cosa che io nego per questa ragione: perché il diritto di religione non riguarda gli uomini nei loro rapporti reciproci. Una diversa religione non lede per sé il diritto umano e quindi non ci può esser guerra a causa della religione. La religione riguarda Dio, il cui diritto è divino e non umano, cioè tra Dio e l’uomo e non tra uomo e uomo. L’uomo non può lamentare la violazione di alcun proprio diritto a causa della diversa religione altrui…”.
Subito dopo la terribile strage di Orlando e gli ultimi fatti di Parigi, cui sono seguiti i commenti della stampa nazionale ed internazionale, mi è tornata alla mente la riflessione che Alberico Gentili – giurista italiano protestante, ed esule in Inghilterra per le persecuzioni cui, insieme alla famiglia, veniva sottoposto dall’Inquisizione Romana – aveva scritto nel 1598 nel suo De iure belli libri tres: una riflessione, così come è stata sopra riprodotta, che oggi tutti possono leggere in una recente edizione dell’opera in lingua italiana. Questo testo, almeno nel passaggio in cui definisce la religione come il rapporto che lega l’uomo con Dio (quello che in latino corre come “Religio erga Deum est”), potrebbe essere stato ispirato dal De civitate Dei di S. Agostino o dalla lettura del Digesto di Giustiniano: due delle colonne (sotto il profilo teologico e giuridico-politico) su cui si fonda la storia della civiltà occidentale.
Sappiamo molto bene, così come lo sapeva Gentili, che i fenomeni religiosi hanno assunto, nel corso dei secoli, strutture organizzative istituzionali e spesso gerarchiche; che la religione era divenuta, molto spesso, religione di Stato. Quella affermazione, in un’epoca nella quale l’intolleranza religiosa stava permendo tutta l’Europa e le nuove terre d’oltre oceano, costituiva la base teorica da cui muovere per eliminare alla radice un problema epocale: la differenza di religione, infatti, veniva e, purtroppo, verrà posta anche in seguito, come base teorica giustificatrice della guerra.
Gentili aveva còlto il cuore del problema. Tant’è che sono rimasti emblematici i suoi scontri teorici con i teologi inglesi appartenenti all’ala puritana (scontri durati per quasi un ventennio tra fine ‘500 e primissimo ‘600) i quali, e sto molto semplificando, avrebbero voluto che il Sovrano applicasse, nella sua attività legislativa, i precetti direttamente derivanti dal dettato della Scrittura. Ai teologi, invece, oltre al ruolo loro proprio di sommi interpreti delle Scritture, l’esule italiano riconosceva esclusivamente, allorquando avessero voluto occuparsi delle relazioni intercorrenti fra gli uomini, la possibilità di illuminare le coscienze, senza peraltro poter pretendere alcun peso specifico nella dimensione politica.
Il pensiero giuridico-politico e quello teologico che si erano a lungo intersecati, e che comunque avevano costituito la fonte dialogante su cui, da secoli, era stata costruita una civiltà, memore della necessità di definire il dettato evangelico del “date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”, non tennero presente la lezione del giurista italiano e di molti altri suoi contemporanei. Ne seguirà la Guerra dei Trent’anni e, quasi a metà del secolo seguente, la pace di Westfalia.
Se c’è una lezione che si può trarre da quelle lontane vicende – perché la storia non si ripete mai in maniera identica, ma è e resta comunque maestra di vita – è che il dialogo, talvolta anche aspro, fra i portatori di visioni diverse, fondato sulla libertà di espressione del pensiero e della libera circolazione delle idee, consente il progresso delle civiltà. L’intolleranza, al contrario, e l’intolleranza religiosa in particolare, sono esclusivamente generatrici di conflitti. Una lezione che chi ha responsabilità politiche nazionali o globali (ed ogni riferimento alla posizione intollerante di Donald Trump non è puramente casuale) dovrebbe tenere sempre in mente. È da queste basi, da quelle di un rispettoso dialogo, e dallo Stato di diritto, conquista di civiltà, che si deve ripartire.
Giovanni Minnucci