Le parole di Bernardino sono chiare. L’esempio da imitare è quello del più antico Studio italiano ed europeo: quello di Bologna. Lo Studio può costituire il vero e proprio motore della Repubblica senese.
“…È anco necessario lo Studio è molto poco inteso da chi non ha letto. Non lo lassate partire da Siena, cittadini senesi. Ponete mente a Bologna, il nome e l’utile e l’onore: così vi seguitarà a voi, se voi vel sapete mantenere, perocché ine si fanno gli uomini atti a farvi capire in ogni luogo. Poi che voi avete la sapienza, fate di mettarla in pratica fra i mercatanti e fra tutta la Repubblica…”.
Così si esprimeva Bernardino da Siena, nel 1427, in una delle sue famose “Prediche volgari”, facendo riferimento all’Università di Siena: una istituzione sorta quasi due secoli prima alla quale – grazie all’ambasceria di due religiosi francescani (Antimo Ugurgieri, lettore a Padova, e Pietro di Francesco da Siena), che si erano appositamente recati a Praga in nome e per conto della Repubblica – l’Imperatore Carlo IV aveva riconosciuto, il 16 agosto 1357, il privilegio di fregiarsi del titolo di “Studio Generale”, vale a dire di una Università “universalmente” riconosciuta, che di lì in avanti sarebbe stata in grado di conferire gradi accademici validi in tutto l’Impero.
A quel riconoscimento dell’autorità laica seguì, nel 1408, quello dell’autorità ecclesiastica da parte di Papa Gregorio XII. Malgrado ciò, e malgrado nel 1416 avesse iniziato a funzionare anche la “Domus Sapientiae”, ovverossia il Collegio universitario contestualmente sede dello Studio, non doveva esserci unanimità in città circa il valore dell’istituzione universitaria. Le discordie cittadine, evidentemente, in relazione all’antico Studio, non dovevano essere state di poco conto se Bernardino si era risolto a richiamare l’attenzione della Città sull’importanza e sull’utilità dell’istituzione universitaria.
Le parole di Bernardino sono chiare. L’esempio da imitare è quello del più antico Studio italiano ed europeo: quello di Bologna. Lo Studio può costituire il vero e proprio motore della Repubblica senese. La presenza di uno Studio pienamente funzionante, famoso e onorato, non dà unicamente una fama fine a sé stessa, ma una fama “utile” (“il nome e l’utile e l’onore”). E quella fama e quell’onore vanno conservati, se possibile, ampliati, e comunque strenuamente difesi. L’eventuale discredito gettato sull’istituzione per interessi personali o particolari, tutti interni alla Repubblica, non favorisce tutto ciò (“…così vi seguitarà a voi, se voi vel sapete mantenere…”). Ma non è tutto. Lo Studio è anche l’istituzione che forma una classe dirigente cittadina: gli studenti, al termine dei loro studi, così come i professori, possono intessere relazioni e rapporti in tutta Europa (“perocché ine si fanno gli uomini atti a farvi capire in ogni luogo”), perché le conoscenze impartite e conseguite consentono di “farsi capire” ovunque. Non può che derivarne che la “sapienza” raggiunta, grazie alla frequenza dello Studio, si riverbera su tutta la città, compresa la “mercanzia” in senso ampio, che ne costituisce, in pieno Quattrocento, una delle principali attività. Pertanto, se si comprende pienamente l’importanza dell’Università, se vengono attentamente conservate la fama e l’onore (“se voi vel sapete mantenere”) lo Studio non “partirà” da Siena. Oltre mezzo secolo più avanti il messaggio bernardiniano sarà compreso molto bene dagli studenti universitari che, costituiti in corporazione (l’Universitas scholarium), il 13 maggio 1480 determineranno di proclamare Bernardino, nel frattempo divenuto santo (1450), loro Patrono insieme a Santa Caterina d’Alessandria.
Parole antiche – quelle di Bernardino – ma parole sagge e sempre attuali per ogni istituzione universitaria che non voglia rinchiudersi in sé stessa, ma che guardi al mondo, che al mondo si apra, che nel mondo pienamente viva: una istituzione, cioè, che voglia operare nel presente ma con lo sguardo volto al futuro, tenendo in gran conto il fatto che solo con una visione costruttiva, tesa al conseguimento del “bonum commune” – e non unicamente attenta alla fama e agli interessi del singolo individuo o di chi è unicamente attento “al proprio particulare” – si possono conservare e migliorare “il nome l’utile l’onore”: lo si deve fare, secondo Bernardino, per l’istituzione e, di conseguenza, per l’intera Comunità.
Giovanni Minnucci