I delitti di provincia occupano un posto di assoluto rilievo all’interno della storia del genere noir. Non è certo un caso che uno dei più bei libri riconducibile a questo genere (“stricto sensu” si stratta di un “no fiction novel”), vale a dire “A sangue freddo” di Truman Capote, è ambientato in una comunità di poche anime del Kansas. Sarà perché tali delitti costituiscono un’infrazione manifesta di quella che sembra una quiete inattaccabile dal male. Sarà perché l’ipocrisia e il perbenismo di certe piccole realtà rurali o urbane paiono così forti da riuscire a celare, allo sguardo di chi non vi abita, ciò che attesta l’apparenza di entrambi.
Vero è che se, per il senso comune, è quasi inevitabile che la metropoli o la città di medie e grandi dimensioni conoscano il delitto, il furto, la violenza, questo non vale per i comuni e per i centri di piccole dimensioni. Di conseguenza, quando la realtà dei fatti smentisce l’illusione o la convinzione errata, la sorpresa finisce con l’assicurare durata alla notitia criminis. Sul giornale locale, nei capannelli di persone per le strade, sul luogo di lavoro, per settimane non si parla d’altro.
Ognuno si crede vicino alla verità, ognuno ha in mente il possibile colpevole: la provincia, in sostanza, suscita una sorta di investigazione collettiva, che è inimmaginabile nella metropoli, dove la frequenza pressoché quotidiana del malaffare e degli omicidi relega nell’ombra l’episodio di cronaca nera del giorno precedente. Appartiene al noir di provincia anche il secondo lavoro di Riccardo Pedraneschi, “Finimondo”, che vede protagonista il commissario Luigi De Pedris, che il lettore ha già imparato a conoscere dal precedente romanzo, “Il mistero della pallacorda”, uscito nel 2016 sempre per le edizioni del Leccio. Tocca a lui fare luce sul misterioso delitto di una ventiduenne originaria della Puglia, Anna Paccheri, che viene trovata uccisa a Siena, sotto i giorni del Palio dell’Assunta del 2014, nel suo appartamento situato – da qui il titolo – nel vicolo di Finimondo, che corre parallelo a via dei Pispini.
E la nostra città costituisce molto più di una semplice scena o di un semplice fondale; accanto al commissario De Pedris, ai suoi tic, alle sue felici intuizioni, alla rete di amicizie e di conoscenze che ha, infatti, Siena si accampa al centro del libro – tanto è l’amore col quale Pedraneschi ce ne restituisce l’immagine – coi suoi colori, i suoi umori, i suoi ambienti, la sua gente, con quella sua “sottile follia”, che tanto affascinava anche il poeta Mario Luzi.
Il passo che segue costituisce l’inizio del secondo capitolo:
“Silvia Volpi, la mora e affascinante veterinaria della Contrada del Drago si trovava in vicolo della Pallacorda in prossimità della Stalla e stava nervosamente fumando in attesa dell’arrivo da Piazza del Campo di Morosita Prima, uno splendido esemplare di baio scuro nato nel 2005 che la sorte aveva regalato al popolo di Camporegio per il Palio di agosto. Si profilava davvero l’opportunità di centrare uno storico Cappotto, la vittoria di entrambi i Palii dello stesso anno, che il Drago aveva colto in una sola occasione nell’ormai lontano ma esaltante 1890. Un evento che nella lunga Storia del Palio si è verificato in appena 16 annate, di cui solo due in tutto il secolo scorso: nel 1993 ha trionfato la Tartuca mentre nel più recente 1997 ha festeggiato per un inverno la Giraffa! Morosita Prima, di cui Silvia conosceva bene sia la proprietyaria sia l’allenatore, aveva conseguito il successo nel Palio di dodici mesi prima, quando Giovanni Atzeni detto “Tittia” aveva condotto la cavallina alla vittoria per la gioia del popolo della Contrada Capitana dell’Onda. La donna nella posizione in cui era, poteva rimirare la bellezza del vicolo della Pallacorda e così ripensò all’omicidio del mese precedente in cui era stata la prima ad avvistare il cadavere della vittima, l’usuraio Antonio Neri. Durante l’indagine aveva pure incontrato un uomo, il commissario Luigi de Pedris, con cui era nata una reciproca simpatia che, per una serie di motivi contingenti e fastidiosi, non era ancora decollata”.
Riccardo Pedraneschi, Finimondo, Siena, il Leccio, 2017
a cura di Francesco Ricci