Studio clinico internazionale, appena pubblicato sulla rivista scientifica Science Immunology, dimostra una relazione tra autoimmunità e diabete di tipo 1. Nel team internazionale di ricercatori anche il professor Francesco Dotta, direttore Diabetologia Aou Senese.
C’è anche il dottor Francesco Dotta, direttore della Diabetologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese, tra i ricercatori che stanno portando avanti uno studio clinico internazionale, pubblicato sulla rivista scientifica Science Immunology.
Lo studio dimostra una relazione tra autoimmunità e diabete di tipo 1. L’importante scoperta è stata effettuata da un team di ricercatori che ha messo in evidenza che livelli nel sangue di un particolare gruppo di globuli bianchi, i linfociti T autoreattivi CD8+, sono sorprendentemente molto simili tra i pazienti con diabete autoimmune e i soggetti non diabetici.
«Lo step successivo – spiega il professor Dotta – è quindi capire, se siamo tutti “autoimmuni”, per quale motivo solo in determinati pazienti, che diventano poi diabetici, questi linfociti vanno a depositarsi a livello del pancreas e iniziano a distruggere le cellule pancreatiche deputate alla produzione di insulina. Le ricerche in corso – prosegue Dotta – stanno seguendo due ipotesi: la prima è che gli individui non diabetici potrebbero essere in grado di tenere sotto controllo i linfociti T-autoreattivi; l’altra è che un’infiammazione del pancreas, ad esempio dovuta ad un’infezione virale, potrebbe rendere le beta-cellule, cioè quelle cellule pancreatiche deputate alla prodizione di insulina, maggiormente “visibili” al sistema immunitario e quindi attrarre nel pancreas i linfociti T autoreattivi che tutti abbiamo in circolo e che si attivano per distruggerle, in un processo autoimmune. Le prossime sfide – conclude Dotta – saranno quindi volte ad una migliore comprensione dei fattori che trasformano l’autoimmunità “benigna” in diabete di tipo 1. Attraverso l’identificazione di questi fattori sarà possibile diagnosticare il diabete autoimmune sempre più precocemente e sviluppare terapie per tenere sotto controllo l’autoimmunità, riportandola al suo stato fisiologico».