RB1, la proteina che prende il nome dal retinoblastoma, ovvero una forma di tumore pediatrico dell’occhio, è tra i fattori più frequentemente inattivati nei tumori umani. RB1 è stato anche il primo gene oncosoppressore ad essere identificato e le sue modalità di inattivazione nel retinoblastoma hanno fornito al genetista Alfred G. Knudson la base per formulare negli anni settanta l’allora rivoluzionaria teoria secondo cui il cancro è dovuto all’accumulo di più colpi o mutazioni nei geni oncosoppressori (ovvero quelli in grado di contrastare la crescita delle cellule tumorali).
Fin dalla sua scoperta nel 1986, RB1 è emerso come un regolatore cruciale del ciclo cellulare in grado di frenare la proliferazione attraverso il legame di fattori di trascrizione necessari per fare progredire una cellula attraverso le varie fasi del suo ciclo di vita. Anche se molti dei meccanismi molecolari responsabili dell’alterazione di RB1 nel cancro sono stati scoperti, la ricerca su questa proteina chiave è stata ostacolata da diversi problemi.
Innanzitutto, RB1 appartiene ad una famiglia di proteine che conta tra i suoi membri RBL1/p107 e RBL2/p130, due proteine che hanno sia funzioni peculiari che simili a quelle svolte da RB1 e sono quindi in grado di compensarne l’eventuale perdita, il che rende più difficile identificare ruoli specifici. In aggiunta, oltre a regolare la proliferazione cellulare, le proteine della famiglia RB sono coinvolte in molti altri processi cellulari che possono influire sulla cancerogenesi e la funzione di RB spesso dipende dal contesto e dalla complessa interazione con altri fattori. Così, nonostante le proteine RB giochino un ruolo così importante come guardiani della crescita e del destino cellulare non è stato finora possibile trasferire l’enorme bagaglio di informazioni su RB nella pratica clinica pur conoscendo la loro potenzialità di agire come fattori diagnostici, prognostici e predittivi di risposta a terapia in certi contesti.
Un articolo di rassegna, appena pubblicato sulla rivista Oncotarget, fa ora il punto su tutti gli studi incentrati sul ruolo di RB nel regolare l’apoptosi. L’apoptosi è un tipo di morte cellulare programmata, fondamentale nella tumorigenesi, sia perché la capacità delle cellule di eludere l’apoptosi è un passo fondamentale nell’acquisizione del fenotipo maligno, sia perché la maggior parte di strategie terapeutiche mirano ad indurre l’apoptosi specificamente nelle cellule tumorali.
Tuttavia, nonostante la miriade di studi, il ruolo di RB nell’apoptosi è ancora controverso. Ora gli autori forniscono una panoramica completa sulla funzione di RB nel coordinare il destino cellulare tra proliferazione o morte per apoptosi e analizzano, alla luce delle recenti scoperte, i diversi effetti innescati da una perdita di RB – in termini di mancanza di proteina – o da una modificazione della proteina stessa (eventi che si riscontrano spesso nei tumori) riuscendo a riconciliare dati che apparivano incongruenti.
«Abbiamo anche voluto sottolineare che, nell’era della terapia molecolare mirata, maggiori sforzi sono necessari per tradurre in
clinica le conoscenze sulle proteine RB e sfruttarle per scopi terapeutici», afferma Paola Indovina, primo autore dell’articolo firmato
da Antonio Giordano, direttore e fondatore della Sbarro Health Research Organization di Philadelphia, professore di patologia e oncologia presso l’università di Siena, che ha scoperto RBL2/p130 nel 1993, oltre a vari altri regolatori del ciclo cellulare, dedicando la sua carriera allo studio della loro alterazione nel cancro.
Per un maggiore approfondimento visitare il sito www.shro.org