In una ricerca dell’Università di Siena e della Aarhus University tracciate le emissioni di gas serra incorporate nel commercio internazionale
Otto miliardi di tonnellate di CO2 “incorporate” nel commercio internazionale, cioè emesse in una nazione per produrre beni consumati in un’altra nazione: è quanto mostra una ricerca recentemente pubblicata sulla rivista scientifica internazionale “Journal of Cleaner Production”, condotta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Siena e della Aarhus University danese, che ridisegna la mappa mondiale delle emissioni di gas serra.
La ricerca ha stimato le emissioni di anidride carbonica emesse dalle popolazioni di oltre 170 nazioni nel mondo sulla base dei loro consumi.
«Uno degli effetti principali del sistema economico attuale – spiega Dario Caro, ricercatore della Aarhus University e principale autore dell’analisi – è la delocalizzazione della produzione, dai paesi sviluppati ai paesi in via di sviluppo. Così, oltre a ridurre i costi di produzione, si sfruttano le risorse degli ultimi, senza essere minimamente responsabilizzati da un punto di vista politico-ambientale».
L’approccio al consumatore adottato dalla ricerca, infatti, si differenzia dal tradizionale monitoraggio delle emissioni di gas serra su scala nazionale, che prende in considerazione unicamente la produzione che avviene all’interno dei confini di ciascun paese, perché accende i riflettori sulla responsabilità dei consumatori. Nello studio, il calcolo delle emissioni tiene conto anche dei beni consumati all’interno dei confini nazionali, facendo emergere in questo modo l’effetto che il commercio internazionale ha sulle emissioni su scala globale.
Con questo nuovo punto di vista, paesi esportatori come Cina, Russia e molti paesi del Medioriente, riducono la loro responsabilità nelle emissioni di gas serra, in quanto una parte rilevante della loro produzione è finalizzata a soddisfare il consumo dei paesi più sviluppati.
«Gli Stati Uniti – evidenzia Simone Borghesi, ricercatore dell’Ateneo senese – sono il paese che importa la maggiore quantità di CO2 ‘nascosta’ e con questa nuova attribuzione le emissioni di cui sono responsabili aumentano di circa il 15%. Da un punto di visto relativo, le nazioni che importano di più sono l’Olanda, che raddoppia la propria responsabilità in termini di emissioni, la Francia (+50%) e il Regno Unito (+35%). Questo sistema di calcolo mette dunque in luce una diversa mappatura dei flussi di emissioni inquinanti a livello mondiale che deve far riflettere sulla presunta divisione tra paesi virtuosi e non, e induce tutti noi, come consumatori finali, a interrogarci sulle responsabilità delle nostre scelte di consumo”.
«Questo nuovo approccio nella stima delle emissioni di gas serra – aggiunge Simone Bastianoni dell’Università di Siena – ci permette di assegnare la responsabilità delle emissioni in modo più equo perché si tiene conto anche dell’effetto del commercio. Sebbene la Cina rimanga il maggiore emettitore mondiale, la sua responsabilità diminuisce perché si tiene conto del fatto che la sua produzione è in gran parte dovuta all’export».
Lo studio ha anche puntato l’attenzione sui flussi di gas serra che sono inglobati nei beni commerciati da e verso l’area Mediterranea. Il Mediterraneo complessivamente ha un consumo di emissioni maggiore rispetto alla sua produzione. Questo è dovuto soprattutto alle importazioni provenienti da Cina, Russia e dai paesi arabi, verso la Francia, l’Italia, la Spagna e la Turchia. Nel complesso l’Italia, come quasi tutti i paesi sviluppati, è un importatore di emissioni e con questa nuova allocazione aumenterebbe le proprie emissioni nazionali di circa un quarto.
«Assegnare una più equa responsabilità delle emissioni ad ogni nazione comporterebbe la necessità di un impegno maggiore nella riduzione dei gas serra per quei paesi che utilizzano maggiormente le risorse del nostro pianeta per soddisfare i propri consumi. Oggi invece queste nazioni hanno la possibilità di scaricare le loro responsabilità ambientali su paesi che hanno, per svariate ragioni, obblighi ambientali minori» – spiega Caro.
Sebbene alcuni studi avessero già mostrato gli effetti di una diversa allocazione delle emissioni, la ricerca presenta un elemento innovativo importante dal punto di vista metodologico, come spiega Federico Maria Pulselli, altro autore della pubblicazione: «A differenza dei più sofisticati metodi per assegnare la responsabilità al consumatore, quello da noi presentato richiede un più limitato numero di dati, non sostituisce l’attuale sistema utilizzato bensì lo completa, introducendo il commercio nella contabilizzazione. Questo significa che potrebbe essere implementato a partire da subito, senza necessariamente riconfigurare la metodologia esistente».