Elisa Mariotti, Donne e parole

Sul piano della scrittura, e solamente sul piano della scrittura, ciò che è pensabile è sempre anche possibile. Ad esempio, io posso pensare che tre grandi autrici, quali furono la francese Colette (1873-1954), l’italiana Sibilla Aleramo (1876-1960), l’inglese Virginia Woolf (1882-1941), siedano, al giorno d’oggi, intorno allo stesso tavolino e, se sono uno scrittore o una scrittrice, io posso dare vita a questo mio pensiero sulla pagina, attraverso una finzione che conserva e restituisce i tratti familiari e riconoscibili della realtà. 

È quanto fa Elisa Mariotti nel suo ultimo libro, edito da primamedia e intitolato “Donne e parole”. Opera della maturità della scrittrice senese, sia per la qualità della scrittura sia per la sapiente orchestrazione narrativa, “Donne e parole” mette in scena una immaginaria conversazione, all’ora del tè, fra le tre scrittrici (tra le più importanti della prima metà del Novecento) in precedenza menzionate, in un bar di Piazza del Campo, a Siena. Con loro c’è anche una giovane giornalista, che attraverso delle domande le sollecita a intervenire su svariati argomenti.

 

 

Il fatto, poi, che nel titolo il loro “essere scrittrice” venga taciuto a favore del loro “essere donna”, a me pare estremamente significativo e rivelatore del punto di vista adottato dall’autrice. Infatti, pur non trascurando le ragioni e i modi di scrivere di Colette, di Sibilla Aleramo, di Virginia Woolf – in sostanza, la loro poetica –, Elisa Mariotti insiste in particolar modo nel riportare episodi, esperienze, aneddoti, che permettono al lettore di cogliere come da loro la condizione femminile fu intesa, assunta, vissuta. Il grande lavoro condotto sui testi delle tre autrici (tanto quelli pubblicati quanto quelli privati) consente di ricostruire l’intreccio di ragioni storico-sociali e personali che spiega il perché di certi personaggi partoriti dalla fantasia di Colette, di Sibilla Aleramo, di Virginia Woolf, ma, soprattutto, le motivazioni profonde di certi giudizi da loro pronunciati in relazione all’amore, al trascorrere del tempo, all’invecchiamento, al perbenismo, al sesso, alla follia, al successo, alla solitudine.  Il passo che segue costituisce l’inizio del romanzo, ottimamente prefato da Filomena Cataldo.     

“Tre figure su tutte spiccano all’interno della sala, tutto il resto pare ovattato, come avvolto da una fitta coltre di nebbia. Quella più esile di tutte è composta, quasi ingessata nei movimenti, grave; la figura che le siede accanto, appena appoggiata allo schienale della poltrona, pare invece pacata, rilassata, solenne nella sua tranquillità. La terza, al contrario, sembra rompere il silenzioso equilibrio creatosi; una malcelata irriverenza trapela dal suo sguardo umido e infuocato al tempo stesso. Mi sembra ancora di vederle, sedute intorno al tavolino rotondo del bar, troppo piccolo per ospitarle tutte e tre. Immagino che abbiano discusso anche per decidere dove sedersi prima di prendere posto al tavolo dell’angolo, quello illuminato da una vecchia lampada stile retrò, proprio davanti alla finestra principale che apre la vista su Piazza del Campo.Arrivo con il mio solito ritardo e questo mi dà la possibilità di godermi la vista da lontano per qualche minuto prima che si accorgano della mia presenza. Le ho viste soltanto in vecchie foto sbiadite, tutte in bianco e nero, ma non è difficile riconoscerle. Ognuna di loro ha qualcosa che parla di sé, della propria esistenza, della propria storia vissuta e raccontata, un qualcosa che le rende uniche. Virginia, seduta sul lato sinistro del tavolo, si sta portando una tazza di tè alla bocca, dopo averci leggermente soffiato sopra. Il suo sguardo è basso, fisso sul piattino di porcellana bianca bordata di blu dove ha appoggiato un antico cucchiaino d’argento, appena bagnato. Nell’altra mano adagiata sul grembo tiene invece stretto il suo inseparabile quaderno, quello su cui scrive il suo diario ormai da anni”.

Elisa Mariotti, Donne e parole, primamedia, Siena 2024

a cura di Francesco Ricci