Il dibattito sulla “Grande Siena” torna puntuale con il cader delle foglie in autunno e questo succede da oltre 40 anni quando, in epoche non sospette, Roberto Barzanti, allora sindaco della città, amava utilizzare il termine “Città Reale”. Da allora poco o niente è stato fatto di concreto tanto che Siena ed i comuni contermini, fatte salve alcune azioni di coordinamento e messa in comune di qualche servizio, hanno continuato a respirare ognuno la propria aria. Ora, di fronte alla velocizzazione di riforme istituzionali e costituzionali, spesso dettate da esigenze che poco hanno a che vedere con la ricerca di un miglior funzionamento del sistema pubblico, è venuto il tempo di porre in atto un progetto condiviso pena trovarsi scodellate proposte inaccettabili come quella che circola di una Toscana con 50 comuni che rischia di far violenza allo stessa natura e funzione storica del “Comune” andando a creare semmai disservizi per i cittadini. E’ del tutto evidente in tal senso che non si può confondere il Comune con l’Ente Intermedio e pensare che una regione di circa 23.000 kmq possa essere ben governata suddividendola in 50 macro-comuni aventi mediamente un territorio di circa 500 kmq ciascuno. Però, ad onor del vero, non si può nemmeno continuare a pensare che una comunità di 1000-2000 abitanti possa dar vita ad un Comune.
E allora il tema dei “progetti utili alla gente”, come evidenziato dall’editoriale domenicale di Francesco Meucci (caposervizio de La Nazione Siena), è un imperativo per chi intenda mettersi a camminare con la testa rivolta avanti. Per poter svolgere un confronto concreto sarà anzitutto utile sgombrare il campo dalle sempre presenti rivendicazioni di primogenitura che servono a ben poco e rendono più difficile il percorso. E’ vero, molti sono stati i soggetti che nel tempo hanno posto il problema ed hanno abbozzato un progetto ed è da salutare con favore che negli ultimi tempi associazioni come “Società Aperta” e vertici istituzionali si siano dimostrati interessati e propositivi. Se questo è il segno di un cambio di cultura e sensibilità c’è da starne ben lieti in quanto il maggior freno al cambiamento è stato proprio il fatto che amministratori e cittadini, si sono fatti per lungo tempo l’idea che Siena si potesse alimentare solo delle proprie risorse e certezze. Posso testimoniare che il tema in questione da me sollevato negli anni 90 da sindaco del comune di Castelnuovo Berardenga fu sprezzatamente liquidato come un tentativo furbesco di farsi risolvere i propri problemi dalla città. Niente di tutto ciò, ovviamente. Eppure le leggi per poter operare una virtuosa autoriforma c’erano già allora ed i vantaggi per gli enti che vi avessero fatto ricorso erano apprezzabili ed evidenti. A quel tempo però dentro le mura senesi regnava la cultura dell’autosufficienza, dell’onnipotenza e del sospetto e si pensava che le ragioni di Siena si potessero agevolmente affermare ergendo barricate e costruendo trincee. Sull’origine di questa cultura e sui “Principi” che la diffusero a lungo e con successo sarebbe utile soffermarci ma avrò modo di farlo a tempo debito. Ora stiamo al tema. Il dato di fatto indiscutibile è il seguente: Siena è una città di appena 55.000 abitanti ed è abbracciata da cinque comuni che ne contano 45.000. Nei primi anni ’70, all’apice dell’esodo dalle campagne, Siena raggiunse 66.000 abitanti contro i 26.000 dei citati comuni. Da allora Siena ha perso costantemente residenti (11.000) tornando ai livelli degli anni 50, mentre i cinque comuni ne hanno aumentati ben 19.000. Di questi molti sono famiglie senesi che lavorano ed hanno come riferimento i servizi e le attività della città. Nello stesso periodo (1970/2010) Arezzo è passata da 87.000 abitanti a 100.000 (+ 13.000) e Grosseto da 62.000 a 82.000 (+20.000). Cosa mai è successo di particolare considerato che i processi demografici e sociali hanno avuto un andamento simile? La risposta è molto semplice. Il territorio del comune di Siena è di soli 119 kmq e cioè oltre tre volte più piccolo di Arezzo (386 kmq) e ben quattro di Grosseto (474 kmq). E’ del tutto evidente molti senesi hanno trovato conseguentemente una risposta per la casa, e spesso anche per il lavoro, nei comuni contermini sui quali si sono edificati e costruiti dei veri e propri quartieri della città in assenza di una vera visione strategica del governo del territorio. Siena pertanto è rimasta piccola per propria scelta e per una apparente convenienza che, nel tempo si è rivelata un fattore negativo. Comunque a mio avviso non serve oggi aprire una discussione infinita ed inconcludente del perché e sul per come. Serve, al contrario, condividere un progetto di riforma concreta e fattibile mettendo al centro l’interesse dei cittadini ed il dovere da parte delle istituzioni di fornire a loro i migliori servizi possibili. Serve il coraggio della città alla quale va restituito territorio per poter respirare, ma serve anche il coraggio dei comuni contermini che non possono sentirsi privati della loro autonomia ed identità. Da questo punto di vista non mi pare percorribile una pura e semplice fusione tra Siena ed i cinque comuni, mentre un progetto più realistico può rivelarsi quello della ridefinizione dei confini annettendo alla città le aree e gli agglomerati residenziali che, di fatto, sono città. Così facendo si andrebbe ad attivare un processo virtuoso tra i cinque comuni che, privi di parti del loro territorio, potrebbero misurarsi alla pari con i comuni situati alle loro spalle in una prospettiva di una Grande Siena e di 5 Grandi Comuni ricchi delle Municipalità dove poter rafforzare i loro tratti identitari. Comuni, quest’ultimi, con un rispettabile peso politico ed amministrativo che fonderebbero le loro radici in storiche aree quali il Chianti, le Crete, la Montagnola e che potrebbero dialogare finalmente con la “Grande Siena”, una città capace finalmente respirare profondamente e di costituire un punto di riferimento irrinunciabile.
Luca Bonechi
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