All’inizio di un nuovo anno, il 2016, sono ancora una volta in viaggio verso il sud est della Turchia, a Gaziantep. Questo adesso è il punto più vicino alla Siria dove possa stare il personale impiegato con le Organizzazioni Umanitarie. Così dal dicembre del 2013 faccio avanti e indietro dall’Italia e dal Nepal, torno per lavoro, ma anche per amicizia con i tanti siriani che in questi anni ho conosciuto qui a Gaziantep. Una città che ospita ormai circa 200.000 mila siriani.
Da qui si lavora in soccorso della popolazione siriana che in 5 anni è passata da una rivoluzione a una guerra civile, per trovarsi poi in una guerra di potenze internazionali e gruppi jihadisti, in un gioco di poteri e interessi economici internazionali. Da allora 7,6 milioni sono le persone sfollate all’interno della Siria e 4,2 milioni i rifugiati, un conto di persone in continuo aumento. Sono dispersi tra Iraq, Turchia, Libano, Giordania e adesso Europa. Rifugiati in campi organizzati, tendopoli, container, centri di accoglienza città, scantinati… Milioni sono i siriani che cercano di mettersi in salvo e che continuano a muoversi e a scappare in cerca di un futuro per sé e per la propria famiglia. Scappano dalle bombe, dai fuochi incrociati dei tanti gruppi armati, dalle derive estremiste, dalle violenza e dal troppo sangue visto versare in 5 anni di guerra in Siria.
Negli ultimi mesi il maggiore coinvolgimento di alcune parti in questo conflitto ha innescato una escalation significativa nella frequenza e intensità dei bombardamenti aerei e, specificamente, l’uso di munizioni convenzionali (in dotazione alla Russia), rispetto a gli improvvisati “barili bomba” usati fino ad adesso dall’aviazione del Governo/Regime Siriano su tutti i territori occupati/liberati da tutti i gruppi armati che formano l’opposizione Siriana (per un approfondimento geopolitico si rimanda alla lettura dell’articolo scritto da Costanza Spocci su Vita.it http://www.vita.it/it/article/2016/01/30/siria-al-via-i-negoziati-onu-ecco-cosa-ce-in-gioco/138100/). I bombardamenti continuano a bersagliare zone con elevate concentrazioni di civili residenti, presentando una minaccia quotidiana a scuole, ospedali, mercati e alle centinai di campi profughi sparsi nel Nord della Siria e lungo il confine turco. Proprio come a fine novembre, quando una attivista siriana mi informa del bombardamento, da parte dell’alleanza russo-governativa, di una delle scuole ad Ovest di Aleppo. Da pochi giorni erano stati completati i lavori al suo interno. Una scuola adesso non più agibile, ma che riusciva a dare un’istruzione a più di 1,000 bambini siriani. Era un venerdì di novembre, per fortuna, giorno di chiusura della scuola.
Notizie di questi giorni riferiscono invece di 40,000 persone che a causa dei recenti bombardamenti russi/siriani hanno cercato nuovi rifugi lungo il confine siriano/turco. Sangue, bombe, sofferenze, distruzioni, malnutrizioni questo è il live motive che ogni giorno si ripresenta agli occhi di tanti miei coetanei che vivono nella Siria di oggi. Ma è grazie alla presenza di migliaia di loro, diventati attivisti durante la guerra, che si può intravedere una speranza, se ce n’è rimasta una. Essi sono il presente e il futuro di una nuova Siria, sono una linfa che sparge vita in una terra di morti e disperazione.
In Europa però la comunicazione è concentrata e focalizzata più sull’ascesa di gruppi jihadisti come Daesh (conosciuto meglio come ISIS o IS) e meno sugli Stati che armano i gruppi jihadisti. Siamo confusi tra i ruoli che stanno assumendo le superpotenze nella guerra: USA, Russia, Arabia Saudita, Iran, Turchia, Israele, Qatar, Gran Bretagna, Francia e altre più o meno nell’ombra, ma dovremmo essere annichiliti dalla prolungata violazione dei diritti umani perpetrata dal governo di Bashar al Assad sulla Siria, sul suo popolo.
Per un attimo sconvolti dall’immagine di un bambino annegato sulle coste europee in cerca di rifugio e in fuga dalla guerra, subito ci siamo spaventati e abbiamo tirato su barriere protettive per un’ondata storica di milioni di rifugiati nelle nostre città. Frastornati e manipolati da eventi di cronaca, strumentalizzati con la paura e la disinformazione, alla maggior parte dei cittadini europei non è dato sapere lo strenuo lavoro che compiono gli attivisti siriani ogni giorno da 5 anni nella guerra in Siria.
Gli attivisti siriani sono la speranza contro il settarismo, l’estremismo e l’oscurantismo che gruppi jihadisti e non solo vorrebbero instaurare nel loro Paese. Ragazzi e ragazze, donne e uomini lavorano giornalmente pubblicando centinaia di informazioni sui social media, dai fronti di combattimento, dalle città accerchiate e bombardate via terra e cielo. Denuciano e raccontano la loro vita da civili, strangolata e schiacciata da interessi internazionali, molto più grandi di loro. Senza armi, senza divise, senza bandiere portano avanti una battaglia quotidiana fatta di progettualità per la popolazione civile, per i loro concittadini. Educazione, cultura, start up di attività economiche, asili nido, centri per donne, comunicazione, denuncia delle violazione dei diritti umani, giornalismo, radio, centri medici… operano in tutti i campi, a 360 gradi, per ripristinare e mantenere servizi essenziali e dignitose condizioni di vita alla popolazione che resiste ancora in Siria.E’ straodinaria l’energia positiva che ho potuto vivere, incontrandoli. Molte delle loro storie sono raccontate su goodmorningsyria.com, uno sforzo di giornalisti siriani che lavorano sul terreno nelle varie zone e che si concentrano su storie della società civile che resiste.
Tra le tante belle storie che conosco e i successi raggiunti che ho potuto vedere, non coi miei occhi (purtroppo) , vi è la storia di uno dei gruppi di attivisti di Aleppo che sono riusciti dopo un anno di incredibile lavoro, ad aprire un centro culturale nella città vecchia di Aleppo. Da dicembre ad oggi già molte sono le attvità realizzate e rivolte senza nessuna distinzione di sesso, età, razza o religione ai cittadini residenti nella parte est della città. Musica, cinema, corsi di formazione, corsi di lingua inglese, educazione informale per bambini e molto più ricco il programma che M., coordinatore del centro, e i suoi compagni si sono prefissati per il prossimo futuro: “The idea of the center was to preserve Aleppo’s heritage that has all but become extinct today; and because existing cultural centers do not give attention to this aspect”.
Asserragliati come sono ad Ovest dall’esercito del Governo siriano, a Est dai combattenti di Daesh, dall’alto dei cieli dalle bombe dell’aviazione Russa e dei barili bomba di Assad e in costante
rischio di essere circondati e tagliati fuori dalla unica via di accesso rimasta accessibile per e da Aleppo, l’impresa di questi ragazzi è a dir poco epica. Per me sono infatti degli eroi, con straordinarie capacità mentali e fisiche che con la forza della loro anima riescono a fare ciò che fanno.
Dall’incontro con questi ragazzi che sono stato così contaminato dalla loro causa: la causa di una vita. Prima di tutto quella di resistere ad una guerra. Ma non solo. Quella di dare una speranza di vita in un contesto di morte, mantenere in vita e far rinascere il cuore di Aleppo, una delle città più antiche al Mondo, una volta fiorente centro di cultura, arte, musica, filosofia e religione. Con l’intenzione di portare alla luce il lavoro degli attivisti siriani e ridare vita ad Aleppo, alla Siria, che mi sono avvicinato a loro e con loro ho intenzione di perseguire lo stesso obiettivo: quello di far continuare a vivere Aleppo e il patrimonio mondiale dell’umanità che i suoi cittadini e le sue mura rappresentano.
E cosi veniamo a Siena così lontana, forse, ma invece così vicina ad Aleppo per il comune bagaglio culturale, storico e artistico, entrambe non a caso inscritte all’UNESCO, entrambe patrimonio dell’umanità un patrimonio che ci è stato tramandato concesso di vivere ma da saper anche preservare e custodire. Ed è con questa intenzione che mi sono avvicinato a loro e con loro ho intenzione, insieme alla collaborazione e speriamo l’impegno comune di cittadini e istituzioni dell’Italia e di Siena in primis, di diffondere la loro azione di pacificazione e ricostruzione della Siria.
Il mio prossimo obiettivo sarebbe per questo quello di avvicinare le due città, Siena ed Aleppo e due comunità quella italiana e siriana, nell’ottica di un ponte culturale e di un gemellaggio che possa sensibilizzare sulla condizione dei civili in Siria e essere viatico di un prossimo futuro di pace per il Paese. Nello specifico insieme a Mahmoud e altri fotografi del centro culturale Waraq, vorremmo riportare, attraverso una mostra fotografica, la vita dei bambini e dei giovani siriani nel conflitto. Tra il forzato bisogno di lavaorare per mandare avanti famiglie orfane di tanti padri e di tante madri, tra i banchi delle scuole bombardate seminterratte mal equipaggiate, che ancora però provvedono a dare una istruzione e nella loro vita quotidiana tra un presente nefasto e un presente speriamo radioso.
Sono convinto che la risoluzione di un conflitto come quello in Siria passi anche da una mobilitazione mondiale, da una presa di coscienza che dovrebbe partire dalla popolazione civile europea sempre più, volendo o meno,coinvolta nelle conseguenze di questa guerra. Se non ci impegneremo tutti, se pur nel nostro piccolo a perseguire quest’obiettivo, una risoluzione del conflitto e poi la pace saranno sempre più lontane.
Filippo Mancini