Il sindaco di Siena Valentini, in qualità di delegato ANCI all’Ambiente, ha detto che spendere in prevenzione impegna meno risorse di quante ne servano a dissesto idrogeologico avvenuto.
Per Bruno Valentini il dissesto idrogeologico si ferma con la semplificazione normativa, il rafforzamento dei consorzi di bonifica e con un aumento delle risorse investite. E’ in sintesi il pensiero del sindaco di Siena, che, in veste di delegato ANCI all’Ambiente, è intervenuto al convegno di presentazione di “Ecosistema rischio 2016”, monitoraggio sulle attività nelle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico svolto da Legambiente. I dati sono stati illustrati nella sede romana dell’associazione dei Comuni italiani.
«L’indagine sul dissesto idrogeologico presentata oggi da Legambiente non fa che confermare una situazione già ben a conoscenza dei sindaci, che da anni chiedono rafforzamento delle risorse, semplificazione normativa e competenze adeguate per intervenire in modo sempre più efficace. Confermiamo tutta la nostra disponibilità per potenziare le campagne di informazione e di sensibilizzazione dei cittadini, sulle quali c’è però da dire che troppe volte i sindaci finiscono per trovarsi soli. Allo stesso tempo, però, non possiamo non far notare che sul fronte delle politiche degli enti locali alcuni passi avanti importanti sono stati fatti: la pianificazione urbanistica è molto più attenta, si estende la collaborazione con il volontariato sulla protezione civile, sta migliorando anche la manutenzione dei corsi d’acqua. Su quest’ultimo aspetto, in particolare, è necessario ora valorizzare le potenzialità dei consorzi di bonifica, disboscando gli appesantimenti amministrativi e burocratici».
«Concordo con il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio – aggiunge Valentini – quando sollecita l’intero sistema pubblico, Regioni comprese, a stare al fianco dei sndaci, che sono il presidio primario del territorio, l’ente a cui si rivolge in prima battuta la popolazione che vuole essere informata o aiutata».
Quindi il delegato ANCI ricorda che «in questi anni, nonostante la riduzione progressiva di risorse e di personale, i Comuni non sono venuti meno al loro impegno per sistemare un territorio che per sua natura è molto esposto al rischio di frane, alluvioni e smottamenti. Tuttavia – ribadisce Valentini – l’indagine di Legambiente evidenzia che sono ancora molto diffuse situazioni di precarietà o di mancata consapevolezza sui Piani locali di protezione civile. Per questo ANCI, insieme al dipartimento nazionale di Protezione civile, sta cercando di accelerare l’estensione e l’aggiornamento dei Piani. Poiché è evidente che spendere in prevenzione impegna meno risorse di quante ne servano a calamità avvenuta, va fatto ogni sforzo – aggiunge Valentini – affinché la pianificazione urbanistica tenga conto dei rischi idrogeologici, arrivando anche dove è necessario a delocalizzare quanto è stato edificato erroneamente nel passato».
Al contempo, il delegato ANCI esprime «apprezzamento per l’avvio delle attività della struttura di missione della Presidenza del Consiglio Italia Sicura: la programmazione degli interventi strutturali di difesa del suolo, adesso e dopo diversi anni di stallo, ha avuto organicità e scale di priorità. Confidiamo – conclude Valentini – in un costante aggiornamento sull’avanzamento dei lavori e sulla programmazione dei prossimi interventi, sia sulle aree metropolitane che sul resto del territorio nazionale»
«l’Italia frana perché l’ultima generazione è responsabile della perdita in italia del 28% della terra coltivata per colpa della cementificazione e dell’abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto la superficie agricola utilizzabile negli ultimi 25 anni ad appena 12,8 milioni di ettari» – dice la Coldiretti commentando il rapporto “Ecosistema rischio 2016” – «su un territorio meno ricco e più fragile per il consumo di suolo, si abbattono i cambiamenti climatici, con le precipitazioni sempre più intense e frequenti con vere e proprie bombe d’acqua che il terreno non riesce ad assorbire», prosegue la confederazione. «Per proteggere la terra e i cittadini che vi vivono, l’Italia – conclude la Coldiretti – deve difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento sociale, culturale ed economico del ruolo dell’attività agricola».