Si avviano alla conclusione i lavori d’Aula alla Camera, mentre proseguono quelli nelle commissioni. Questa settimana sono stati discussi argomenti importanti: dal rifinanziamento delle missioni militari all’estero, alle norme per la riorganizzazione della pubblica amministrazione; fino alle leggi in materia di immigrazione. Con tutta evidenza l’attenzione dei media, in questa settimana, si è però concentrata sul caso del ministro Anna Maria Cancellieri. Non poteva essere altrimenti, perché questa è una vicenda molto delicata per la credibilità delle istituzioni. Dunque va trattata con il massimo dell’obiettività politica, senza alcuna minimizzazione e senza alcuna autocensura. I termini della questione sono sufficientemente chiari e sollevano molti interrogativi che vanno al di là del caso stesso. Come dimostrano le dichiarazioni dei magistrati competenti il ministro non ha infranto alcuna legge. Secondo l’avviso di molti (ed anche mio) il suo comportamento è stato però decisamente inopportuno. Poichè questa distinzione rimane fondamentale, ci domandiamo anche se basti a chiudere una vicenda così spinosa, i cui contorni sfuggono ancora al nostro giudizio. Quale etica del comportamento ci aspettiamo da chi ci governa? Se l’etica è la ricerca delle regole che consentono a ciascun individuo di gestire la propria libertà nel rispetto degli altri, ci chiediamo inoltre: quale etica è sottesa ad azioni che non sono state compiute nel nome dell’interesse collettivo, ma come espresso, anche con rammarico, dallo stesso ministro, “hanno visto prevalere sentimenti di amicizia e di umanità sui doveri di rigoroso profilo istituzionale”?
Il ministro non è in discussione per le sue amicizie, e neppure per essersi adoperato affinché le procedure previste dal Dipartimento Agenzia Penitenziaria avessero luogo, nei tempi e nei modi previsti dalla Legge. Non perché la Legge dovesse essere “ingiusta” per tutti, e neppure perché nelle telefonate con i parenti della detenuta Giulia Ligresti il ministro abbia assunto una posizione di vicinanza umana ai suoi interlocutori. Ma perché in quelle stesse telefonate manca costantemente il riferimento a ciò che i propri obblighi istituzionali avrebbero imposto, ossia una semplice dichiarazione di imparzialità di fronte alla Legge. Dunque le critiche al ministro non investono il piano giuridico quanto quello personale, e spiace doverle condividere, perché da prefetto e poi da ministro, Anna Maria Cancellieri ha sempre meritato un’ampia e condivisa riconoscenza per il lavoro svolto a servizio dello Stato.
Tornando ai lavori dell’Aula, il voto contrario alla mozione di sfiducia del M5S, mozione francamente irricevibile e mirata esclusivamente alla sfiducia al Governo, era doveroso. Come pubblicamente manifestato dalla maggioranza dei parlamentari democratici, avremmo preferito le dimissioni spontanee del ministro e credo che questa richiesta sarà reiterata nelle prossime settimane. Il gruppo parlamentare del Pd e i quattro candidati alla segreteria nazionale hanno espresso chiaramente che le dimissioni spontanee erano il nostro auspicio. La richiesta del Presidente del Consiglio di esprimere con il voto sul ministro Cancellieri un voto politico sul Governo ha oggettivamente cambiato i termini della scelta. Il Ministro Cancellieri rappresenta, infatti, un punto di equilibrio per le molte riforme in materia di giustizia e di riforma carceraria. Tuttavia stride il paragone con quanto avvenuto nel caso del ministro Idem, e si aggiunge ulteriore malcontento all’insofferenza generata dalla vicenda Shalabayeva, nella quale il ministro Alfano non ha certo brillato. Non so dire esattamente quale sia il limite di rottura rispetto ai casi dei singoli ministri che hanno caratterizzato la vita del Governo Letta, ma so che la fiducia sul ministro Cancellieri è divenuta fiducia rispetto ad un Governo nato soprattutto per tamponare l’emergenza economica, cambiare la legge elettorale e fare le riforme istituzionali più urgenti. Un governo che continuiamo a sostenere mettendoci la faccia, accettando posizioni di opportunità o forse di necessità politica e confidando sempre di fare il bene del Paese.
In tutta franchezza e libertà di giudizio posso dire che i parlamentari del Pd si sono adeguati, pur con difficoltà , alla richiesta del Presidente del Consiglio Enrico Letta. Consapevoli che da questo passaggio il Governo esce di certo più debole, più stanco, e in netta e minore sintonia con la nostra base elettorale. Consapevoli che, ancora una volta, si è data l’impressione di uno Stato debole coi forti e forte con i deboli. Personalmente sono sempre più convinto della necessità di un cambio di passo, che può arrivare solo da un partito con idee chiare, meno disposto al compromesso ed elettoralmente più forte.
Occorre dunque che il Partito democratico riprenda la propria iniziativa politica, perché approfondire e comunicare il senso delle proprie azioni è indispensabile per definire la propria identità , in particolare durante l’importante fase congressuale che stiamo affrontando.