Dopo aver esaminato i punti essenziali della riforma costituzionale, affrontiamo la delicata questione della legge elettorale. Anche se a prima vista riforma e sistema elettorale sembrano non avere niente a che fare l’una con l’altro, la loro sorte è strettamente legata. Negli ultimi mesi, infatti, la legge elettorale è stata a lungo al centro della campagna referendaria, più volte citata da entrambi gli schieramenti.
Dal Porcellum all’Italicum
Nel dicembre 2013 la Corte costituzionale ha giudicato parzialmente incostituzionale la legge Calderoli – comunemente nota come Porcellum – in quanto prevedeva l’assegnazione di un premio di maggioranza indipendentemente dal raggiungimento di una soglia minima di voti in caso di ballottaggio e non consentiva agli elettori di esprimere preferenze. La Consulta ha quindi lasciato in vigore la legge Calderoli, eliminando le parti relative all’attribuzione del premio di maggioranza ed inserendo la possibilità di esprimere la propria preferenza.
Successivamente, il Parlamento ha quindi emanato una nuova legge elettorale, battezzata Italicum dall’allora segretario Pd Matteo Renzi. Votata dal Partito democratico con l’appoggio di Forza Italia, ha visto la luce ad aprile 2015 ed è entrata in vigore il 1 luglio 2016. L’Italicum disciplina però solamente l’elezione dei membri della Camera, mentre quella dei senatori resta disciplinata dalla precedente legge elettorale, così come è stata modificata dalla Corte costituzionale.
Il sistema elettorale previsto dall’Italicum
L’Italicum è una legge elettorale di tipo proporzionale, nel senso che l’assegnazione dei seggi avviene in modo proporzionale alle scelte espresse dai cittadini. Tuttavia, allo stesso tempo, è previsto un premio di maggioranza per il partito che raggiunge almeno il 40% più uno dei voti, che in questo modo si assicura almeno 340 sui 630 seggi totali alla Camera (infatti questa ripartizione non riguarda i 12 deputati scelti dagli italiani all’estero e quello eletto dagli abitanti della val d’Aosta, ndr). Questo fa sì che il partito che si aggiudica il premio abbia una maggioranza almeno del 55% alla Camera dei deputati. Nel caso in cui nessun partito raggiunga il 40% dei consensi si procede ad un secondo turno, nel quale i due partiti più votati si sfidano al ballottaggio. Contestualmente, è prevista una soglia di sbarramento del 3% dei voti: i partiti che non la superano non hanno diritto ad alcun seggio in Parlamento.
Inoltre, viene ridotto da 27 a 20 il numero delle circoscrizioni a livello nazionale, a loro volta divise in 100 collegi. Il sistema prevede che ogni lista elettorale abbia un capolista bloccato, scelto dai partiti, che può candidarsi in un massimo di dieci collegi, il che aumenta le sue probabilità di essere eletto (di solito, infatti, il capolista è una figura particolarmente influente di quel determinato fronte politico, ndr). Se un partito ottiene l’elezione di più candidati nello stesso collegio, allora gli altri deputati, a partire dal secondo, vengono scelti in base alle preferenze espresse dagli elettori. Ogni cittadino ha diritto ad esprimere un massimo di due preferenze, che devono necessariamente essere di sesso diverso (pena l’annullamento della seconda scelta).
La riforma costituzionale e la legge elettorale: le ragioni del Sì e del No
Uno dei punti sul quale il fronte del No ha insistito particolarmente è il “combinato disposto” fra riforma costituzionale e legge elettorale. Alcuni ritengono infatti che con l’approvazione del referendum si avrebbe una Camera con una maggioranza estremamente forte – e di conseguenza un Governo con troppo potere – dato che il Senato non voterebbe più la fiducia. Inoltre, il premio di maggioranza sarebbe sproporzionato se nessun partito dovesse raggiungere il 40%, e non garantirebbe una rappresentazione fedele del voto espresso dai cittadini. Anche la presenza dei capilista bloccati è oggetto di animate discussioni, che secondo i più critici verso la legge provocherebbe l’«impossibilità di scegliere liberamente e direttamente i deputati», come si legge nel testo di uno dei ricorsi alla Corte costituzionale.
Dall’altra parte, una legge elettorale come l’Italicum dovrebbe offrire una maggiore governabilità, garantendo una maggioranza senza necessità di ulteriori accordi fra i partiti dopo le elezioni. I sostenitori della riforma ritengono che il superamento del bicameralismo perfetto, con questo sistema elettorale, riuscirà ad aumentare la durata degli esecutivi.
L’intervento della Corte costituzionale
Fin dalla discussione in aula, l’Italicum ha suscitato fra alcuni giuristi dei dubbi sulla sua costituzionalità. Dubbi che si sono poi trasformati in ricorsi alla Corte costituzionale.
La prima ordinanza che ha stabilito la trasmissione degli atti alla Consulta è stata emessa dal Tribunale di Messina e risale al marzo 2016. I giudici siciliani hanno accolto sei dei tredici punti proposti, giudicati rilevanti e non manifestamente infondati: il “vulnus” (danno, ndr) al principio della rappresentanza territoriale; il “vulnus” ai principi della rappresentanza democratica; la mancanza di soglia minima per accedere al ballottaggio; l’impossibilità di scegliere direttamente e liberamente i deputati; l’irragionevolità delle soglie di accesso al Senato, ereditate dalla legge 270 del 2005 (il cosiddetto Porcellum, ndr); l’irragionevole applicazione della nuova normativa elettorale per la Camera a Costituzione vigente per il Senato, non ancora trasformato in camera non elettiva, come vorrebbe la riforma costituzionale.
Il 5 luglio è stata invece la volta del Tribunale di Torino, che ha accolto il ricorso di un gruppo di cittadini ammettendo due eccezioni: una relativa alle liste bloccate e alla possibilità per i capilista di candidarsi in dieci collegi diversi, l’altra al premio di maggioranza previsto al ballottaggio. A settembre, infine, un altro ricorso è stato trasmesso alla Corte costituzionale dal Tribunale di Perugia, sulla stessa scia dei due provvedimenti precedenti.
La Consulta avrebbe dovuto esprimersi sui tre ricorsi il 4 ottobre, ma data la vicinanza con il referendum costituzionale del 4 dicembre la Corte ha rinviato la decisione per evitare di influenzare l’esito della votazione. Presumibilmente, la decisione dovrebbe arrivare a gennaio del prossimo anno.
Verso una nuova legge elettorale?
Oltre ai principali partiti dell’opposizione l’attuale sistema elettorale non piace neanche ad una minoranza di parlamentari del Pd, che si è detta disponibile a votare per il Sì soltanto nel caso in cui venga modificato. Pertanto, nelle ultime settimane il premier Renzi ha lasciato aperta la possibilità di una revisione dopo il referendum, anche se allo stato attuale non ci sono ancora sufficienti dettagli per individuare il tipo di un’eventuale nuova legge elettorale.
Non resta, quindi, che attendere l’esito della consultazione. Con un possibile primato all’orizzonte: l’Italicum potrebbe essere la prima legge elettorale ad “andare in pensione” senza essere mai stata applicata.
Giulio Mecattini