“Mi ricordo ancora quel giorno di primavera, quel maledetto 23 maggio 1992. Mi trovavo casualmente a Firenze e la notizia mi fece un effetto strano: quello da fine dei tempi ma insieme da inizio di una nuova epoca. Di svolta, di rottura verso un passato di opaca contiguità tra settori della politica e delle istituzioni, poteri occulti e criminalità organizzata. Avevo venticinque anni e da due completato gli studi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Siena. Erano tempi in cui vibrava un forte ritorno di tensione ideale verso le istituzioni democratiche e verso il cambiamento di alcuni fili essenziali della trama che regolava la complicata e incompiuta democrazia del nostro Paese: tra i giovani del tempo si sviluppava un sentimento quasi eroico di volontà di affermazione della legalità. Ricordo ancora che in quel periodo tantissimi giovani neolaureati in legge avevano il desiderio di diventare Magistrati della Repubblica. E non certo per il lustro, il potere o lo stipendio. Rammento addirittura un compagno di studi, oggi valente Magistrato, che sognava di fare il pubblico ministero in Sicilia. Tutto questo in un contesto nel quale andava frantumandosi – con l’inizio di tangentopoli – la partitocrazia corrotta della prima Repubblica e le forze politiche erano alla ricerca di nuovi fondamenti di legittimazione democratica su cui recuperare il patto di fiducia con i cittadini. Giovanni Falcone, come altri prima di lui e dopo di lui – penso ovviamente a Paolo Borsellino, rappresentò in quel frammento breve e profondissimo della storia del nostro Paese l’incarnazione dello Stato democratico nella sua massima aderenza al sentimento popolare: una lex animata in terris del XX secolo che riuscì a rendere umanissimo e concreto il desiderio di riscatto dall’illegalità e dall’omertà. Insomma, una grande speranza di emancipazione per tutto il Paese.
Dopo venti anni, molti dei quali trascorsi purtroppo in una spirale di arretramento morale e politico, che rende ancora più doloroso l’odierno dramma economico e sociale, la criminalità organizzata, combattuta senza tregua da moltissimi Magistrati, non è ancora sconfitta e, come nel ’92, la politica mostra ancora che le piaghe della corruzione e del malaffare sono tutt’altro che scomparse. Ma, come allora, anche oggi, in mezzo a preoccupanti segnali di sterile distruttività anche stragista, cresce nella società il desiderio di un rinnovato impegno civile che spinge e costringe anche le forze politiche a rispondere a quella che forse è l’ultima chiamata.
Il nostro dovere è riprendere in mano il filo spezzato di quella primavera: riconsegnando la dignità perduta al nostro Paese, recuperando il senso profondo del rispetto delle regole e dei valori fondamentali del vivere comune, rammentando a noi stessi l’irrinunciabile necessità della lotta quotidiana in difesa della libertà e della democrazia, pretendendo dalla politica il ritorno alle ragioni profonde del suo ruolo nella società. Faremmo un bel dono a noi tutti, ai nostri figli, a quell’indimenticabile sorriso beffardo e sincero di servitore dello Stato reso immortale dal suo stesso generoso sacrificio”.
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Fulvio Mancuso, responsabile giustizia provinciale Pd Siena