Provincia di Siena: intervento del consigliere provinciale Antonio Falcone su cancellazione Province

Antonio FalconeLa Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato…”

Ma la Costituzione, come ormai sappiamo, non rappresenta più la legge fondamentale del nostro Stato, ma una delle tante “carte”, modificabile a piacere, a seconda degli interessi particolari di qualcuno, che però è capace di rappresentarli come interessi di tutto il Paese. Nell’ormai lontano 1991 iniziò una campagna tesa, non sappiamo se consapevolmente o meno, ad introdurre un sistema maggioritario in tutte le elezioni, iniziando con l’abolizione delle preferenze (la “scusa” era il possibile utilizzo delle preferenze da parte della Mafia, per far eleggere i propri “simpatizzanti”, che come sappiamo continuano ad essere presenti in gran parte delle nostre istituzioni) e passando poi ad altre riforme, in nome della governabilità, ma tutte tese a ridurre la partecipazione al voto, e in definitiva la effettiva rappresentanza dei cittadini, anche questa affermata nella Costituzione.

Il Consiglio Provinciale oggi insediato ha 25 consiglieri, eletti nel 2009, l’ultimo dei quali rappresenta circa il 4% degli elettori della provincia. Se vanno in porto le intenzioni degli attuali legislatori, il Consiglio sarà sostituito da un gruppo di “nominati”, ovvero alcuni sindaci dei 37 comuni della provincia, che dovrebbero rappresentare gli interessi di tutti i cittadini che risiedono nella provincia stessa; ne saranno capaci? Oltre ad allontanare sempre più il rapporto tra cittadini e rappresentanti degli stessi ci domandiamo: quando dovranno decidere su temi che riguardano il territorio del proprio Comune, o di quello confinante, riusciranno i “nominati” a rimanere imparziali? Ad oggi la Corte Costituzionale, ha bocciato il decreto “Salva Roma” per la parte riguardante l’abolizione delle Province, ma sicuramente ci saranno altri tentativi. Invece di ridurre realmente i privilegi che molte figure istituzionali hanno, si vuole ancora una volta tentare di ingraziarsi la rabbia che si è diffusa nei confronti di troppi “privilegiati” tagliando le briciole nelle istituzioni più vicine ai cittadini (lo si è già fatto per esempio riducendo la rappresentanza nei consigli comunali, che costano pochi euro, mentre nelle regioni per esempio continuano sprechi, illegalità ed eccessi). E ancora: sapendo che questo Parlamento è composto di nominati, raccomandati e addirittura eletti illegittimamente (a causa della illegittimità del “porcellum” ci sarebbero 148 deputati “illegittimi”) sarebbe giusto modificare da parte loro un tema importante quale è quello della rappresentanza? La Consulta asserisce che il Decreto bocciato avrebbe creato caos amministrativo, addirittura aumentando la spesa pubblica, e che “il trasferimento alle Città Metropolitane del patrimonio e delle risorse umane, finanziarie e strumentali delle Province…si risolve in un meccanismo complesso e articolato, suscettibile di produrre costi e di alimentare il contenzioso, tanto più nell’ipotesi di ripartizione delle funzioni e delle risorse tra Provincia e Città metropolitana”. La Consulta conclude sottolineando che le Province sono le uniche istituzioni che hanno davvero risparmiato (150 milioni di euro solo nel 2012) e che l’assunto dell’invarianza degli oneri (dato per scontato, perché si tratterebbe esclusivamente di un passaggio di funzioni e risorse dalle province ad altri enti territoriali) non trova alcun fondamento: in primis perché la struttura della spesa è squilibrata verso oneri inderogabili ed incomprimibili (personale, mutui, ecc.) e poi perché i processi di unione o fusione di Comuni comporterebbero deroghe al patto di stabilità interno. Se il parere della Consulta non bastasse, c’è anche l’autorevole appello di 44 costituzionalisti, che stronca impietosamente l’impresentabile DDL: “Il sovrapporsi disordinato di provvedimenti di <riforma> del sistema delle autonomie locali…lascia disorientati, sia quanto al merito delle politiche di riorganizzazione tentate, sia quanto alla loro legittimità costituzionale…Non possiamo sottrarci al dovere di richiamare tutte le forze politiche e la società civile ad una riflessione attenta e condivisa.” Ancora, essi affermano:  “Quanto al destino delle Province…riteniamo che non si possa comunque con legge ordinaria sopprimere le funzioni di area vasta delle Province e attribuirle a Regioni e Comuni, né trasformare gli organi di governo da direttamente a indirettamente elettivi, né rivedere con una legge generale gli ambiti territoriali di tutte le Province. Non si possono, infatti, svuotare di funzioni enti costituzionalmente previsti e costitutivi della Repubblica (art. 114), né eliminare la diretta responsabilità politica dei loro organi di governo nei confronti dei cittadini, trasformando surrettiziamente la Provincia in un ente associativo tra i Comuni, mentre le funzioni da svolgere non sono comunali…Aggiungiamo che perplessità suscita anche la strada della revisione costituzionale, intrapresa dal Governo all’indomani della pronuncia della Corte, con una iniziativa (A.C. n. 1543) volta alla soppressione -decostituzionalizzazione delle Province, poi seguita da un disegno di legge ordinario (A.C. 1542, ndr. quello bocciato dalla Consulta) volto a sottrarre alle Province la gran parte delle funzioni di area vasta, nonché da un opinabilissimo provvedimento di commissariamento fino a giugno 2014 di tutte le Province con organi in scadenza prima della prossima tornata elettorale – amministrativa. Questa appare per molti versi una scorciatoia, fonte di ulteriori complicazioni, per il rischio di un mancato rispetto del principio autonomistico sancito in Costituzione. In effetti, la soppressione delle Province potrebbe essere realizzata solo se le funzioni di area vasta risultassero tutte attribuibili ai Comuni o alle Regioni. Ma queste funzioni, di cui tutti riconoscono l’esistenza e il necessario esercizio, sia quelle operative (viabilità, edilizia per l’istruzione secondaria, lavoro e formazione professionale, trasporti pubblici locali, gestione del ciclo dei rifiuti, protezione della natura e dell’ambiente), sia quelle di coordinamento (le pianificazioni con riflessi territoriali, cioè le più rilevanti scelte di localizzazione) non sono attribuibili ai Comuni, che anzi sono in molti casi i principali destinatari delle scelte di area vasta operate nei loro confronti.”. Sappiamo che dichiararci contrari all’abolizione delle Province è fuori moda, d’altra parte cosa vi aspettavate da chi si ostina a chiamarsi comunista?