Con la terza puntata della nostra guida al referendum costituzionale del 4 dicembre, oggi affrontiamo un aspetto della riforma particolarmente importante: la modifica del Titolo V della Costituzione, che riguarda le autonomie locali e la ripartizione delle materie fra Stato centrale e Regioni.
Dagli anni ’70 ai giorni nostri
L’attuale testo del Titolo V della Costituzione è il frutto di una serie di modifiche costituzionali iniziate negli anni ’70. In questo arco di tempo le Regioni hanno visto crescere sempre di più i propri poteri e la propria autonomia, in particolare in campo organizzativo e finanziario, senza che fosse garantita loro anche maggiore autonomia fiscale. Questo ha fatto sì che gli enti regionali avessero la possibilità di spendere più denaro, creando in alcuni casi dei “buchi” nei bilanci regionali. Buchi, però, risanati prevalentemente con finanze statali, in quanto le Regioni godono di limitata autonomia tributaria.
Dall’altra parte, la difficoltà di stabilire cosa è di competenza statale e ciò che invece è di competenza regionale ha provocato un forte aumento dei conflitti fra lo Stato e le Regioni, che negli ultimi 15 anni sono cresciuti in modo esponenziale superando il 40% del totale dei ricorsi di cui si occupa annualmente la Corte costituzionale. Di conseguenza, i lavori della Consulta sono stati rallentati a causa del carico di lavoro con cui i giudici costituzionali si sono trovati – e si trovano tutt’ora – a dover fare i conti.
E arriviamo ad oggi. Attualmente la Costituzione, dopo l’ultima riforma del 2001 ad opera del centrosinistra, prevede tre tipi diversi di competenza: mentre lo Stato ha competenza esclusiva soltanto sulle materie espressamente previste all’articolo 117 della Costituzione, un secondo elenco definisce quelle che invece rientrano nella competenza concorrente fra Stato e Regioni, nella quale il primo si occupa soltanto di dettare i principi fondamentali e le seconde della disciplina di dettaglio. Infine, su tutto ciò che non è espressamente previsto hanno potestà legislativa le Regioni (competenza residuale).
La scomparsa della competenza concorrente Stato-Regioni
La novità di maggior rilievo della riforma consiste nella soppressione della potestà legislativa concorrente fra lo Stato e gli enti regionali di cui abbiamo parlato sopra. Il nuovo articolo 117 della Costituzione, quindi, opera una ripartizione delle materie che prima erano di competenza allo stesso tempo statale e regionale.
In questo modo, se la riforma verrà approvata, resteranno soltanto materie di competenza esclusiva statale e materie di competenza esclusiva regionale.
Inoltre, in caso di vittoria del Sì, lo Stato riprenderà piena potestà legislativa su numerose materie, fra cui: le disposizioni generali per la tutela della salute; produzione, trasporto e distribuzione dell’energia; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; tutela e sicurezza del lavoro; grandi reti di trasporto e di navigazione; l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria e la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica.
Questo significa che l’autonomia delle Regioni diminuirà e ci si allontanerà dall’attuazione del cosiddetto principio di sussidiarietà verticale, secondo il quale i servizi dovrebbero essere erogati, per quanto possibile, dagli enti più vicini ai cittadini in quanto maggiormente consapevoli delle necessità del territorio (Comuni, Regioni, ecc.).
La clausola di supremazia a favore dello Stato
Tuttavia, su richiesta del Governo, la riforma costituzionale rende possibile l’intervento della legge statale su materie di competenza regionale, qualora lo richieda “la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale“. L’esercizio della clausola di supremazia a favore dello Stato prevede un particolare procedimento legislativo, nel quale il Senato può richiedere di esaminare il testo di legge anche se il numero di senatori che ne fa richiesta è inferiore ad 1/3 dei componenti dell’assemblea (come invece prevede il procedimento ordinario, ndr). Inoltre, in caso di eventuali emendamenti del Senato votati a maggioranza assoluta (50% + 1 dei componenti), la Camera può opporsi soltanto se anch’essa delibera a maggioranza assoluta.
Le Regioni però, nel caso in cui ritengano non esserci i presupposti per l’esercizio della clausola di supremazia, potranno comunque ricorrere alla Corte costituzionale. Non è detto, quindi, che l’introduzione di questa specifica clausola porterà con certezza ad una riduzione dei ricorsi in via principale alla Corte costituzionale. Per ulteriori approfondimenti sul procedimento legislativo previsti dalla riforma rimandiamo alla seconda puntata della nostra guida al referendum.
Verso l’abolizione delle Province
Dopo la trasformazione delle Province in enti di secondo livello – di fatto svuotate di potere – con la legge Delrio del 2014, la riforma costituzionale ne prevede l’eliminazione di qualsiasi riferimento dalla Costituzione. Tuttavia, le Province delle Regioni a statuto speciale continueranno ad esistere e non verranno toccate dalla riforma.
Il regionalismo differenziato
La riforma ridisegna infine l’articolo 116 della Costituzione. Diventerà possibile attribuire ulteriori poteri alle Regioni ordinarie – a patto che il bilancio regionale rispecchi una condizione di equilibrio tra le entrate e le spese – in modo da creare un regionalismo differenziato. L’attribuzione di queste speciali forme di autonomia potrà avvenire attraverso una legge “approvata da entrambe le Camere” (senza che sia però richiesta la maggioranza assoluta dei componenti, ndr).
Queste modifiche non saranno tuttavia vincolanti per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome, fino a quando non verrà stipulata un’apposita intesa con lo Stato.
Giulio Mecattini