Mical2, ricordatevi questo nome. Perché sarà destinato a diventare oggetto di ricerca e di lotta. Si tratta infatti della proteina ‘amica’ dei tumori, quella cioè che aiuta le cellule malate a invadere l’organismo. Si chiama Mical2 e ‘cancellarla’ permette di bloccare le metastasi: diventa così un nuovo bersaglio per futuri farmaci anticancro. L’ha individuata il gruppo internazionale coordinato dall’Italia, con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Descritta sulla rivista Oncotarget, la proteina può diventare anche uno strumento utile per la diagnosi.
Debora Angeloni, ricercatore dell’istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna, che cos’è esattamente la proteina Mical2 e come agisce e interferisce sulle metastasi tumorali?
“Mical2 è una proteina che fa parte di una famiglia di tre membri (Mical 1, 2 e 3), con una struttura molto simile in specie diverse, dall’uomo al topo al pesce, ecc. Anche se in quantità variabile, nel nostro corpo tipi diversi di cellule esprimono Mical2. La sua capacità di modificare l’assetto chimico del citoscheletro è molto importante per la sopravvivenza della cellula. Il citoscheletro infatti è una struttura grazie alla quale ogni cellula del nostro corpo può mantenere una certa forma, interagire oppure no con le cellule vicine, muoversi in un ambiente tridimensionale. Il citoscheletro viene continuamente modificato, ed il controllo di questi meccanismi è importante per far prendere alla cellula decisioni fondamentali come quella di dividersi (proliferare) oppure no. Se le caratteristiche che ho appena descritto per Mical2 nella cellula normale valessero in qualche modo anche per la cellula tumorale, allora Mical2 sarebbe un ottimo candidato ad intervenire in processi fondamentali per la progressione del tumore, quale la proliferazione e la diffusione di cellule metastatiche. Questo ragionamento ci ha condotto a studiare la presenza della proteina in divesi tipi di tumore. Almeno in alcuni la abbiamo trovata in effetti molto piu abbondante che nei rispettivi tessuti sani. Non solo, la abbiamo trovata in cellule tumorali localizzate sul fronte di invasione del tumore verso il tessuto normale circostante, in cellule metastatiche presenti in emboli all’interno di vasi sanguigni, e invece la abbiamo trovata molto poco rappresentata in cellule tumorali che avevano formato metastasi in tessuti distanti dal tumore primario. Allora abbiamo fatto ricorso a metodi di biologia cellulare e molecolare per capire cosa succede se si aumenta o diminuisce la quantità di Mical2 presente nella cellula. Nelle cellule tumorali che abbiamo studiato, eliminare Mical2 comporta una riduzione della loro capacità di proliferare ma, soprattutto, praticamente abolisce la loro capacità di muoversi e ‘invadere’ una matrice tridimensionale in cui esse siano immerse. In conclusione, pensiamo che, per qualche motivo che ancora non conosciamo, Mical2 si riaccenda in tessuti in cui dovrebbe essere per niente o poco rappresentata, sostenga la cellula tumorale nei processi di dissociazione dal tessuto normale e invasione verso l’esterno, la aiuti a sopravvivere durante la migrazione, per poi spegnersi quando la cellula tumorale è giunta a destinazione, in un organo distante in cui può riprendere a moltiplicarsi”.
Enorme, quindi, l’entità della scoperta scientifica. Quale la squadra che ci ha lavorato?
“Pensiamo che questo risultato sia interessante perché ci ha colpito la radicale trasformazione ‘funzionale’ delle cellule in cui abbiamo abbassato o eliminato la quantita’ di MICAL2. Cio’ ci ha fatto pensare che colpire MICAL2 nelle cellule tumorali potrebbe offrire uno strumento nuovo per trattare la metastasi, un processo critico nella progressione tumorale. Per arrivare a questo risultato è stato importante interagire con persone di diverse competenze. Oltre alla nostra squadra del Sant’Anna, hanno contribuito al lavoro colleghi dell’Università , della Azienda Sanitaria, del NEST e della Fondazione Pisana per la Scienza di Pisa, del San Raffaele di Milano, dell’Accademia Russa delle Scienze. Molto importante, proprio da Siena, il contributo del professor Franco Roviello del Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia dell’Universita di Siena, e della dottoressa Carla Vindigni, dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese.
Quali i tempi necessari – e i processi – tra la scoperta scientifica e il reale utilizzo su pazienti oncologici?
“Il nostro è il risultato di una ricerca di base, volta a caratterizzare il meccanismo biologico di un attore del processo tumorale. Adesso, ci sono molte altre domande a cui occorre dare risposta, usando vari altri modelli, per traslare questo risultato verso un’applicazione utile al paziente. Chiunque faccia ricerca di tipo biomedico ha questo obiettivo al proprio orizzonte, tuttavia occorre essere chiari sul fatto che i tempi sono necessariamente lunghi”.
Crede che il cancro potrà essere debellato? Se sì, entro quanto si può sperare, indicativamente?
“La parola cancro racchiude una classe molto vasta di malattie. Sappiamo che oggi molte di esse sono più trattabili di quanto non accadesse in passato, di alcune si guarisce, e studiosi molto autorevoli ci autorizzano a sperare. E’ evidente che c’è ancora molto da fare. In ogni caso, e questo è stato dimostrato, la prevenzione è l’arma migliore, attuabile attraverso uno stile di vita sano e attivo.
A prescindere dai proclami strumentalizzati dalla politica, facciamo parlare la ricercatrice: quanto l’Italia e in questo caso la Toscana investono nella ricerca scientifica e come si posizionano nella classifica dei ‘cervelli’ e delle scoperte? Quali le soluzioni per migliorare?
“La Toscana ha certamente un ottimo posizionamento in fatto di attenzione alla ricerca. Ho potuto beneficiarne in più occasioni e ne sono riconoscente. Il sistema Paese può certamente migliorare. Occorre creare opportunità , per chi è qui, per chi è fuori e vuole tornare, anche per i freelance e per chi non è ‘di scuderia’. I più giovani, pur essendo preziosi per la competenza, il livello di specializzazione e la dedizione con cui lavorano, spesso lavorano in condizioni di precariato assoluto, in cui non hanno garanzie su cosa accadrà della loro posizione di lì a pochi mesi. Questo non aiuta a fare scelte di vita importanti”.
Katiuscia Vaselli
Photo Credit: Laboratorio Angeloni, Febbraio 2016.