Ricerca senese dimostra che i livelli di intelligenza dipendono dall’elaborazione di specifiche aree del cervello che comunicano tra loro mediante connessioni cerebrali instabili e quindi flessibili: maggior flessibilità delle connessioni vuol dire maggiore intelligenza. Lo studio, condotto dal dottor Emiliano Santarnecchi presso il laboratorio di “Brain Investigation & Neuromudaltion” della Unità di Neurologia e Neurofisiologia Clinica dell’AOU Senese, diretta dal professor Alessandro Rossi, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica “Human Brain Mapping”, ed è stato realizzato mediante analisi di immagini di risonanza magnetica funzionale del cervello, utilizzando metodiche avanzate capaci di quantificare l’attività cerebrale spontanea. La rivista ha dedicato la propria copertina ai risultati di questo studio dando, in questo modo, uno speciale risalto al carattere innovativo di questi risultati. “Questo studio – spiega il professor Rossi, che dirige anche il Dipartimento di Scienze Neurologiche e Neurosensoriali – è il primo a fornire prove sperimentali convincenti che le connessioni cerebrali più deboli, cioè quelle plasticamente più flessibili, condizionano il livello di intelligenza e quindi il livello di elaborazione cognitiva. Queste connessioni deboli rappresenterebbero così una rete di legami flessibili tra differenti regioni del cervello dedicate a compiti cognitivi”. In sostanza, i risultati dello studio del gruppo senese dimostrano come il livello di intelligenza sia altamente correlato con la capacità di trasferire informazioni tra aree cerebrali distanti mediante le connessioni più deboli, e quindi le più flessibili e modulabili, smentendo l’ipotesi che le capacità cognitive di ogni essere umano siano dovute all’organizzazione di un insieme di aree rigidamente e stabilmente connesse tra loro. “I risultati del nostro gruppo – aggiunge il neurologo Simone Rossi, responsabile del laboratorio di Brain Investigation & Neuromudaltion – dimostrano invece che l’organizzazione cerebrale più efficace ed efficiente risiede nella flessibilità, cioè nelle connessioni più deboli e quindi potenzialmente più adattabili, capaci di garantire al cervello umano la capacità di elaborare e gestire dinamicamente le informazioni”. L’adattabilità di queste connessioni deboli può essere una chiave, non solo per l’interpretazione dell’evoluzione umana, ma anche per aprire la strada a nuove ricerche sull’invecchiamento fisiologico e sui processi di riabilitazione o potenziamento cognitivo. “Queste connessioni – concludono Alessandro e Simone Rossi – collegano prevalentemente aree distanti tra loro e pertanto potrebbero essere responsabili della capacità di adattamento e riorganizzazione delle facoltà cognitive successive a eventi traumatici quali infarti cerebrali o malattie neurodegenerative, proprietà nota come ‘riserva cognitiva’ “.