Il calciatore Mattia Giani è solo uno degli ultimi atleti sotto i trent’anni che purtroppo ha perso la vita in campo per un malore.
Una situazione inaccettabile e oggi siamo tutti a chiedersi se potesse essere evitata. Nonostante il progresso, i controlli per l’idoneità sportiva e l’obbligo del defibrillatore durante una qualsiasi manifestazione, ancora oggi le morti premature per arresto cardiaco non sono cessate.
Negli anni, la prevenzione è stata rafforzata notevolmente, ma come confermato anche dal dottor Massimo Capitani, direttore della medicina dello sport dell’Asl Toscana Sud Est, nel mondo dilettantistico ancora deve essere fatto un piccolo passo che potrebbe però essere decisivo.
“La prevenzione è sempre l’arma migliore che ha la medicina – commenta Capitani -. Purtroppo, a volte, ci sono delle patologie che non possono essere prevenute e lì è fondamentale avere un’assistenza medica e di soccorso preparata. In Italia, in realtà siamo anche tra i primi al mondo per la prevenzione e per i controlli. Durante le visite per l’idoneità sportiva stiamo molto attenti alla parte del cuore. L’ultimo decreto ministeriale sulle visite medico sportive risale al 1982-1983, quindi qualcosa può essere rivista e migliorata: sarebbe opportuno fare un ecocardiogramma, per chi non è professionista ovviamente, che può darci ulteriori dettagli e che possono permetterci di gestire un eventuale problema”.
Con i nuovi piani sanitari e con l’introduzione del defibrillatore obbligatorio a bordo campo, in realtà, sono state numerose le vite umane salvate. Dopo il periodo del Covid però, una minoranza di persone collega le morti in campo alla situazione della pandemia e dei vaccini, che ancora oggi dividono, ma Capitani smentisce.
“Gli atleti che sono stati affetti dal Covid dovevano obbligatoriamente fare dei controlli specifici per verificare che non vi si manifestassero problemi cardiaci o respiratori – spiega Capitani -. In alcuni casi, è capitato che dopo la malattia o dopo il vaccino venissero fuori dei problemi di miocardite o pericardite, ma con le dovute precauzioni e con le giuste cure si è riusciti a gestire il problema. Non c’è alcun collegamento tra le morti in campo e i vaccini, questo deve essere chiaro anche ai no vax. Aggiungo poi, che il numero di persone che non hanno avuto problemi dopo il vaccino o dopo la malattia è estremamente superiore a chi invece li ha avuti. La questione non è sui vaccini, ma sui controlli per l’idoneità, che devono essere migliorati”.
Pietro Federici