Riceviamo e pubblichiamo questa interessante riflessione che ci arriva da un lettore:
“Il gioco del calcio è forse lo sport più praticato al mondo, una palla un cortile, quattro amici e il divertimento è assicurato.
Una volta era così, si giocava per strada, oggi non è più possibile, i ragazzi devono frequentare una scuola calcio dove si presume che ad insegnare siano istruttori qualificati. Ma spesso questo non avviene, vuoi per mancanza di risorse vuoi per sete di guadagno i ragazzi vengono affidati o a genitori volenterosi oppure a istruttori tali solo perché in gioventù hanno calpestato qualche volta l’erba di un campo di calcio.
A Siena esistono diverse società di calcio, ognuna con le sue specificità, c’è chi non si pone nessun obiettivo se non quello di far giocare i ragazzi, chi oltre a farli divertire si pone un problema di infrastrutture, cercando di accogliere i giovani atleti in un ambiente pulito e organizzato senza peraltro tralasciare l’aspetto tecnico ma non mettendolo tra gli obiettivi da raggiungere a tutti i costi.
Poi ci sono quelle società che si potrebbero classificare tra i vorrei ma non posso. Cioè società che millantano grandi prospettive di carriera ai giovanissimi calciatori palesando accordi con società professionistiche come se queste ultime avessero scelto tale società per i suoi meriti, quando basta “pagare” per avere l’affiliazione.
Vengono fatte squadre con gruppi di ragazzi dello stesso anno di 30/35 elementi andando alla ricerca del “pezzo buono” fin dal mese di gennaio in barba a tutte le regole. Promettendo l’irrealizzabile pur di avere la possibilità di scegliere quei 15/18 elementi che comporranno la squadra più forte oppure quella che parteciperà al campionato regionale.
E gli altri? Semplice, vengono dirottati nelle così dette seconde squadre che qualche volta partecipano ai campionati fuori classifica, senza prendere punti, cioè si fa un campionato di amichevoli togliendo il gusto della sfida e del risultato.
Forse sarebbe meglio liberare i ragazzi e indirizzarli altrove, si, ma così non si incassa la quota annuale, e pazienza se il ragazzo non si diverte.
C’è poi chi in tempo di globalizzazione tenta di fare una squadra composta solo da un’etnia, in barba a tutte quelle belle parole che riguardano l’integrazione, così facendo quei ragazzi naturalmente, non giocheranno per la maglia della società, ma si ritroveranno tutti sotto una bandiera trasformando le partite in occasioni di riscatto.
Tutto questo con la complicità dei genitori, veri e propri “manager” del piccolo campione, che allettati da grandi prospettive e “consigliati” dagli stessi dirigenti della società, si accollano le spese, spesso anche di alcuni giorni, per far sostenere improbabili provini ai propri ragazzi.
Provini che spesso non portano a niente o forse si, a lasciare un senso di frustrazione nel ragazzo per “l’occasione” mancata, ma che servono alla società che lo ha proposto per giustificare l’accordo con la squadra professionista.
Questa in linea di massima è la situazione del nostro calcio giovanile, naturalmente non è tutto qui c’è dell’altro ma questo mi sembra già sufficiente per tracciare un quadro ben preciso e impietoso”.
Lettera Firmata
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