Prima il trapianto nel 2015 di polmone, per una diagnosi di malattia polmonare, poi il trapianto di cellule staminali dello scorso 14 dicembre, a seguito della Leucemia acuta mieloide ad alto rischio sviluppatasi lo scorso luglio.
Adesso, dopo cinque mesi dalla procedura, il paziente è in remissione completa. E l’ospedale Le Scotte può rivendicare di essere il primo policlinico in Italia ad aver trapiantato cellule staminali allogeniche per un 54enne già sottoposto ad un precedente intervento al polmone.
Il risultato è stato ottenuto grazie ad un lavoro di squadra che ha visto il coinvolgimento di più Uoc: Terapie cellulari e Officina trasfusionale, diretta dal dottor Giuseppe Marotta; Ematologia, diretta dalla professoressa Monica Bocchia; Malattie dell’Apparato respiratorio, diretta dalla professoressa Elena Bargagli; Immunoematologia e servizio trasfusionale, diretta dalla dottoressa Elena Marchini.
“La complessità del caso e l’elevato rischio di complicanze – spiegano dall’ospedale – ha richiesto la valutazione multidisciplinare di ogni fase diagnostica e terapeutica finalizzata alla pianificazione dell’intero percorso”.
“Il paziente – spiega Bargagli – era stato sottoposto ad un trapianto di polmone nel 2015 per una diagnosi infausta di malattia polmonare ed aveva sviluppato, a luglio 2022, una Leucemia acuta mieloide ad alto rischio. Dopo un trattamento chemioterapico intensivo nel reparto di Ematologia, lo scorso 14 dicembre è stato sottoposto al trapianto di cellule staminali emopoietiche, da donatore familiare Hla identico”.
Il risultato, secondo la dottoressa Marchini, è stato raggiunto “grazie al lavoro e alle competenze delle diverse équipe mediche e di tutto il personale del comparto, sia infermieristico che tecnico, coinvolto nel percorso assistenziale, che ha gestito le varie fasi della procedura e ha seguito il paziente costantemente in questi anni”.
“È stato un gran lavoro di squadra – prosegue la professoressa Bocchia – con un risultato certamente non scontato, sia durante la terapia per la leucemia acuta che poi durante il trapianto. Devo dire che il paziente è stato, ed è, un grande combattente, ha sempre avuto un atteggiamento positivo, anche nei momenti più difficili. Per questo credo che l’ampia discussione che ha preceduto l’inizio del percorso, dove tutti insieme lo abbiamo informato su ogni step ma anche motivato e confortato, mostrandoci uniti e determinati, sia stata una delle componenti che ha permesso di dargli una seconda possibilità”.
In particolare il lavoro di squadra è stato seguito: per Malattie dell’apparato respiratorio dal dottor David Bennett e dalla dottoressa Antonella Fossi; per Terapie cellulari e Officina trasfusionale dal dottor Alessandro Bucalossi e dalle dottoresse Maria Pia Lenoci, Francesca Toraldo, Monica Tozzi e la biologa Valeria Del Re; per Immunoematologia e Servizio Trasfusionale dal dottor Francesco Cibecchini e dalle dottoresse Alice Pietrini e Stefania Olita; per Ematologia dalla dottoressa Elisabetta Zappone e dal dottor Corrado Zuanelli.
Ha partecipato nella gestione post-operatoria del paziente, a causa di alcune complicanze, anche l’Oculistica diretta dal professor Gian Marco Tosi.
“La interdisciplinarità è alla base di ogni percorso di cura complesso e la direzione aziendale ha investito molto negli ultimi anni sulla necessità di procedere dal riferimento storico di una singola disciplina verso l’utilizzo di saperi e prassi diversificate mediante lo sviluppo di numerosi progetti “inter-dipartimentali” – conclude il dottor Giuseppe Marotta–. Questa è l’ennesima dimostrazione che tale modalità di “interdipendenza funzionale” è in grado di rispondere in maniera ottimale alle esigenze del paziente passando dalla centralità delle funzioni alla centralità del processo”.
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