Siena è protagonista di due nuovi studi sulla definizione e classificazione dello scompenso cardiaco che sono state pubblicate in due prestigiose riviste: Progress in Cardiov Medicine ed ESC Heart Failure.
Gli studi sono stati condotti alle Scotte dall’Uosa Malattie cardiovascolari, diretta dal professor Alberto Palazzuoli, afferente al Dipartimento di Scienze mediche, diretto dal professor Bruno Frediani. A giugno è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista europea di cardiologia (European heart journal) la nuova definizione dello scompenso cardiaco universalmente condivisa dalle società Europea ed Americana di cardiologia.
“Tale classificazione prevede la contemporanea presenza di un’alterazione della funzione cardiaca associata ad un’alterazione di alcuni biomarcatori espressi dal muscolo cardiaco, meglio noti come peptidi natriuretici”, spiegano dall’ospedale.
“All’interno di questa classificazione – dice il professor Palazzuoli – è stata sottolineata l’importanza di dividere la malattia in due grandi sottotipi in relazione alla presenza o meno di un’alterazione della funzione contrattile, che in cardiologia viene calcolata in maniera non invasiva attraverso la misurazione della frazione di eiezione”.
“Con l’obiettivo di definire in modo migliore i pazienti affetti da scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, la Società Italiana di cardiologia ha pubblicato uno studio coordinato dallo stesso professor Palazzuoli sulla rivista Progress in Cardiov Medicine, che ha descritto in modo dettagliato le caratteristiche cliniche e le alterazioni morfo-funzionali che caratterizzano questa sindrome”, spiegano ancora dalle Scotte.
“In questo lavoro – prosegue il direttore di Malattie Cardiovascolari – abbiamo analizzato le caratteristiche e le peculiarità che distinguono lo scompenso con funzione sistolica preservata rispetto allo scompenso con funzione ridotta. Dall’analisi sistematica degli studi clinici più importanti è emerso che questa tipologia di pazienti ha alcune particolarità e disfunzioni proprie solo di questa forma di insufficienza cardiaca che ne condizionano la riacutizzazione, l’evoluzione e la prognosi a lungo termine. Ciò ha inevitabili ripercussioni anche sul tipo di trattamento che deve essere distinto dalla forma classica e meglio conosciuta di scompenso a funzione sistolica ridotta”.
Un successivo editoriale, ha invece sottolineato come sia importante la valutazione dei fattori di rischio cardiovascolare associati allo scompenso cardiaco e la relativa terapia che deve essere intrapresa già negli stadi iniziali di malattia. Un trattamento ottimale delle patologie più comunemente associate a scompenso cardiaco, un corretto stile di vita ed una riduzione del sovrappeso possono prevenire e ritardare la comparsa della malattia, che viene rappresentata come una piramide che procede dal basso verso l’alto, in base alla sintomatologia e allo stato di gravità.
“Emerge quindi – conclude Palazzuoli – come una valutazione multi-comprensiva con un check-up clinico presso un ambulatorio dedicato per lo scompenso cardiaco, una dettagliata analisi del profilo di rischio ed uno studio mirato della performance cardiaca, associati alla misurazione di alcuni biomarcatori di laboratorio indicativi di un danno cardiaco, possano intercettare questa sindrome in una fase iniziale evitando il progressivo deterioramento, con inevitabile ripercussione sulla prognosi”.