Nel 2013 erano 52667, nel 2019 50350, nel 2023 sono 49963: è l’evoluzione dei numeri della popolazione tra 15 e 34 anni in provincia di Siena che in dieci anni è diminuita di 2704 unità, pari al – 5,1%.
A registrare il trend è la Cgia di Mestre in un report. Il nostro territorio è ben lontano dai picchi che si raggiungono nei dati del Mezzogiorno e si tiene ad una rassicurante distanza da quel -7,4% di media italiana che è considerato il livello di guardia.
Resta comunque evidente che questa flessione registrata nell’ultima decade vada tenuta sott’occhio, specie se si pensa che la nostra non è una delle province più popolose del Paese.
Per la Cgia la contrazione dei dati a livello italiano “nella fascia di età più produttiva della vita lavorativa sta arrecando grosse difficoltà alle aziende italiane- si legge nel documento -. Molti imprenditori, infatti, faticano ad assumere personale, non solo per lo storico problema di trovare candidati disponibili e professionalmente preparati, ma anche perché la platea degli under 34 pronta ad entrare nel mercato del lavoro si sta progressivamente riducendo”.
La crisi demografica dunque “sta facendo sentire i suoi effetti e nei prossimi anni la rarefazione delle maestranze più giovani è destinata ad accentuarsi ulteriormente”.
La difficoltà maggiore, rileva l’associazione degli artigiani, sarà rimpiazzare il personale che andrà in pensione da qui al 2027.
Non solo: “i giovani italiani sono in calo, con un livello di povertà educativa allarmante e lontani dal mondo del lavoro. Un responso che emerge in maniera evidente quando ci confrontiamo con gli altri paesi europei. E’ un quadro desolante che rischiamo di pagare caro se, come sistema Paese, non torneremo ad aumentare il numero delle nascite, a investire maggiormente nella scuola, nell’università e, soprattutto, nella formazione professionale”, recita il report della Cgia.
Da qui viene evidenziata la necessità di stabilire un patto con gli immigrati intenzionati a rimanere in Italia. “Alla luce della denatalità in corso nel nostro Paese, appare evidente che per almeno i prossimi 15-20 anni dovremo ricorrere stabilmente anche all’impiego degli extracomunitari”.
In che modo? “Per legge, a nostro avviso, dovremmo stabilire che il permesso di soggiorno, a eccezione di chi ha i requisiti per ottenere la protezione internazionale e di chi entra con già in mano un contratto di lavoro, andrebbe accordato a chi si rende disponibile a sottoscrivere un patto sociale con il nostro Paese”, si legge ancora.
E il contenuto dell’accordo? “Se un cittadino straniero si impegna a frequentare uno o più corsi ed entro un paio di anni impara la nostra lingua e un mestiere, al conseguimento di questi obbiettivi lo Stato italiano lo regolarizza e gli “trova” un’occupazione – aggiungono dalla Cgia-. Sia chiaro: è un’operazione complessa e non facile da gestire, anche perché il tema dell’immigrazione e del suo rapporto con il mondo del lavoro è molto articolato. Non solo; tutto ciò richiede una Pubblica amministrazione in grado di funzionare bene e con performance decisamente superiori a quelle dimostrate fino a ora. Il buon esito di un’iniziativa di questo tipo, ad esempio, non può prescindere da una ritrovata efficienza dei Centri per l’impiego, altrimenti la possibilità che l’iniziativa naufraghi è pressoché certa – concludono-. Grazie al coinvolgimento anche delle Camere di commercio, dovremo accelerare il processo di avvicinamento e di conoscenza tra la scuola e il mondo del lavoro, senza dimenticare che non potremo rinunciare a un forte incremento degli investimenti sugli Its e sulla qualità della formazione professionale; materia, quest’ultima, di competenza delle amministrazioni regionali”.
MC
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