Il consumo di suolo si è divorato negli ultimi quattordici anni 180 mila quintali di prodotti agricoli che avrebbero potuto essere coltivati e raccolti nelle campagne senesi e toscane per una perdita stimata di 3,6 milioni di euro.
La progressiva ed inesorabile trasformazione del territorio regionale e la conseguente perdita di suolo agricolo e naturale a favore di case, capannoni e superfici artificiali in generale, rappresentano un ulteriore ostacolo alla necessità di tornare a produrre tutte quelle materie prime agricole da cui oggi dipendiamo dall’estero contribuendo inoltre alla crescente fragilità del territorio di fronte ai cambiamenti climatici. A dirlo è Coldiretti sulla base dell’elaborazione dei dati dell’ultimo rapporto Ispra sul consumo del suolo in occasione della Giornata Mondiale della Terra.
“Non cenna a rallentare, nonostante il blocco di molte attività durante il lockdown, il processo di urbanizzazione che divora suolo all’agricoltura, alla produzione di cibo, tema mai di così grande attualità, provocando pesanti effetti dal punto di vista economico, occupazionale ma anche ambientale. – spiega Coldiretti Siena -. La disponibilità di terra coltivata significa produzione agricola di qualità, sicurezza alimentare e ambientale per i cittadini nei confronti del degrado e del rischio idrogeologico. L’ultima generazione è responsabile della perdita in Italia di oltre ¼ della terra coltivata per colpa della cementificazione e dell’abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto in maniera purtroppo irreversibile la superficie agricola utilizzabile; superficie che è irrimediabilmente persa”. Gli ettari destinati ad uso agricolo si sono ulteriormente ridotti tra il 2012 ed il 2020 nella nostra provincia e nella regione di circa 600 ettari così come le superfici naturali per circa 2.600 ettari mentre, al contrario, hanno continuato ad espandersi le aree urbane con un incremento di 3.270 ettari secondo l’Ispra per un totale di suolo consumato di 141 mila ettari pari al 6,17% dell’intera superficie regionale. La perdita di suolo agricolo, destinato quindi all’attività primaria, ha subito una preoccupante accelerazione tra il 2012 ed il 2020 nonostante la legge regionale approvata 65/2014, con 105 mila quintali di prodotti agricoli in meno per una perdita di quasi 2 milioni di euro secondo sempre le stime dell’Ispra. Di contro, nel periodo 2006-2012, i quintali persi stimati erano stati 75 mila per una perdita quantificata in 1,6 milioni di euro circa. La maggiore riduzione stimata ha riguardato i terreni in pianura e principalmente terreni destinati a seminativi con 64 mila quintali e le foraggere con 26 mila quintali che insieme rappresentano l’86% del totale di tutte le colture analizzate potenziali che comprendono anche vigneti, oliveti e frutteti. Dati che confermano l’inarrestabile contrazione delle superfici destinate alla produzione di grano, mais, girasoli di cui oggi siamo fortemente deficitari e che l’industria ha preferito in nome del profitto acquistare all’estero piuttosto che riconoscere compensi adeguati agli agricoltori.
Per Coldiretti è necessario “accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo, ormai da alcuni anni ferma in Parlamento, che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio. Una esigenza che si estende a livello comunitario dove la task force, formata da ACLI, Coldiretti, FAI, INU, Legambiente, LIPU, Slow Food e WWF e altre 500 associazioni promotrici di “People4Soil” che hanno aderito al network europeo (www.salvailsuolo.it), ha lanciato un appello rivolto alla Commissione Europea, che fa riferimento all’obiettivo delle Nazioni Unite di fermare il degrado di suolo a livello globale entro il 2030. “Consumo di suolo ed abbandono colturale, ed in particolare dei territori marginali a causa dell’emergenza ungulati e dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori devono imporre al nostro paese un cambio di rotta nell’approccio alla tutela della risorsa suolo. Approccio che oggi è totalmente insufficiente se vogliamo ridurre la nostra dipendenza dall’estero”.
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