Una ricerca che “ha permesso di ottenere in vitro organoidi che sembrano dei mini cervelli capaci di sviluppare degli occhi rudimentali”.
Così l’università di Siena, in un comunicato, ha presentato il lavoro condotto da Jay Gopalakrishnan dell’università di Düsseldorf cui ha partecipato il dipartimento di Scienze della vita con Giuliano Callaini e Maria Giovanna Riparbelli. “Questi minuscoli insiemi di cellule saranno utili per capire i meccanismi che regolano lo sviluppo del cervello e le eventuali alterazioni, per studiare le alterazioni della retina e per creare cellule retiniche da utilizzare a fini terapeutici”, si legge.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell. Che cosa è però un organoide? A rispondere è ancora l’ateneo: “sono strutture tridimensionali molto piccole ottenute da cellule staminali pluripotenti, che possono essere indirizzate a divenire differenti tipi cellulari, formando così vari tessuti e organi”. Alle parole che si leggono nella nota si aggiungono quelle di Riparbelli: “Questi minuscoli insiemi di cellule sono considerati la nuova frontiera della medicina e sono tra i modelli di studio più promettenti nella ricerca scientifica.
Compito della nostra università è stato quello di studiare gli organoidi con coppe ottiche utilizzando sia il microscopio elettronico a trasmissione che quello a scansione del laboratorio di microscopia elettronica del dipartimento di Scienze della vita. “Il lavoro mette in evidenza come, in opportune condizioni, gli organoidi cerebrali sono in grado di sviluppare strutture sensoriali primitive con tipi cellulari neuronali altamente specializzati. Questi organoidi -prosegue Riparbelli- possono essere utili per capire i meccanismi che regolano lo sviluppo del cervello e delle eventuali alterazioni”.
“In generale, lo studio della formazione degli organoidi – aggiunge il professor Callaini – può aiutare i ricercatori a capire i meccanismi che sono alla base dello sviluppo dei vari organi e può fornire informazioni preziose su come questi organi possono interagire con farmaci o trattamenti specifici. Gli organoidi possono essere utilizzati per individuare nuovi biomarcatori, fare screening di nuovi farmaci e stabilire, in un futuro prossimo, la terapia migliore per un paziente, nell’ottica di una medicina sempre più precisa e personalizzata”.