“Retrograde to Zero” questo il nome del piano che ha riportato in Italia i nostri militari dopo venti anni di impegno in Afghanistan. Non c’era nessuna autorità politica o istituzionale ad accogliere la bandiera del 186esimo reggimento paracadutisti “Folgore” il reparto che ha pagato il più alto numero di caduti in questa missione.
La cerimonia di accoglienza è stata annullata per motivi di sicurezza causa la variante D, così è dato sapere, forse si poteva fare un “piccolo” sforzo, i nostri militari ne hanno fatti di sacrifici ed hanno corso rischi ben più gravi della variante “D”, è vero c’è stata la cerimonia ad Herat, ma l’arrivo in patria è un’altra cosa, anche da lontano ma un saluto poteva starci. Il ritiro del contingente è visto con indifferenza, dimenticando la perdita di 53 militari, di una cooperante italiana, la giornalista Maria Grazia Cutuli, e oltre 700 feriti e mutilati, sacrificatisi per evitare che l’Afghanistan ritornasse ai tempi bui del regime talebano.
Era il 12 settembre 2001 quando il consiglio di sicurezza dell’ONU si riunì per approvare la risoluzione 1368 che riconosceva il diritto di “ legittima difesa individuale e collettivo” degli Stati Uniti, era il via libera legale alle operazioni. Il nostro Paese ha partecipato alle operazioni militari dal 18 novembre 2001 e nell’ambito della missione Nato ci è stato affidato il quadrante di Herat.
La cooperazione civile e militare si è sviluppata dal 2015 con 2.290 progetti per un impegno di spesa globale di oltre 58 milioni di euro. Sono state costruite un centinaio di scuole, 40 ospedali, più di 800 pozzi, oltre trenta edifici di sicurezza comprese caserme per i militari afghani. La conclusione di una missione internazionale, senza che abbia raggiunto gli obiettivi prefissati è considerata un inutile spreco di vite umane e di risorse economiche, ed è inevitabile lo strascico di critiche e polemiche, il conflitto afghano per le Forze Armate italiane, e per l’Esercito in particolare, è stato un importante banco di prova delle capacità operative.
In particolare per i giovani comandanti è stata un’operazione che ha permesso di riacquisire i “fondamentali” delle operazioni di contro guerriglia condotte in uno scenario assolutamente particolare, per un soldato la missione è la vittoria, o quanto meno scongiurare la sconfitta. In Afghanistan i progressi fatti in questi anni sono già in parte compromessi con l’avanzare dei talebani e il conseguente arretramento delle forze armate e della polizia afghana rendendo vano il sacrificio e le perdite di tanti uomini.
Il futuro per l’Afghanistan purtroppo assomiglia sempre più a un ritorno alla situazione precedente il 2001, gli unici che possono cambiare qualcosa sono le nuove generazioni visto che il 50% degli Afghani ha meno di trent’anni e li hanno vissuti in gran parte in pace, ( موږ په خدای کې امید لرو – Abbiamo speranza in Dio ).
Giovanni Graziotti
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