Dal tabacco arriva un’altra risposta nella lotta al covid. E a dimostrarlo è una ricerca condotta da un team di ricercatori di Tls, insieme a Enea e Cnr, che sono riusciti a riprodurre due anticorpi monoclonali contro il coronavirus utilizzando come “biofabbrica” una specie selvatica della pianta del tabacco.
Il risultato dello studio, che è stato pubblicato sulla rivista internazionale Frontiers in plant science, ha evidenziato come i due anticorpi possono riprodursi con tempi e costi ridotti rispetto ai metodi tradizionali.
All’inizio i ricercatori di Toscana life sciences hanno isolato, in un paziente affetto da covid, uno dei due anticorpi dotato di una potente azione neutralizzante contro il virus; successivamente i colleghi di Enea hanno prodotto l’anticorpo in piante di Nicotiana benthamiana( la specie selvatica di pianta del tabacco, ndr) servendosi della piattaforma biotecnologica Plant molecular farming, che è in grado di effettuare la sintesi di molecole bioattive ad alto valore aggiunto. La molecola ottenuta è stata poi caratterizzata biochimicamente dai ricercatori del Cnr.
“I risultati ottenuti ci hanno consentito di dimostrare che gli anticorpi prodotti in pianta riescono a boccare la replicazione del virus mantenendo dunque le stesse capacità funzionali delle corrispondenti molecole prodotte nei sistemi tradizionali”.
Parole di Marcello Donini, ricercatore di Enea, che ha inoltre evidenziato come la tecnologia di produzione adottata in Enea “potrebbe essere una valida alternativa rispetto alle piattaforme tradizionali, basate su colture cellulari per la produzione di anticorpi neutralizzanti, da utilizzare sia come terapeutici che come diagnostici, in grado di soddisfare la domanda nazionale in tempi brevi e con investimenti sensibilmente inferiori”.
L’ampliamento della piattaforma di Plant molecular farming da scala di laboratorio a scala pilota, viene evidenziato in un comunicato, “permetterebbe la produzione di anticorpi sufficienti per la valutazione in studi clinici in circa 3-4 mesi, contro i 6-7 necessari con sistemi di produzione in cellule di mammifero, consentendo di rispondere a possibili emergenze pandemiche in modo tempestivo e a costi di produzione ridotti, senza ricorrere a piante geneticamente modificate”.
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