Le dieci sfere di legno dipinto correvano sul selciato, incontrando ostacoli nelle scabrosità e nei dislivelli delle commettiture; i loro colori, nella corsa, si mescevano e intersecavano, creando un avvicendamento di cromìe lampeggianti.
I citti che le avevano spinte su quella pista immaginata le incitavano alla vittoria, questa reale; ma la pista stessa, benché tracciata dall’immaginazione, era reale: e così la sconfitta che sarebbe giunta insieme alla vittoria. Tutto era vero, insomma. I barberi avrebbero beneficiato ancora per poco del moto conferito dalle solerti mani infantili: quello che si fosse fermato per ultimo, senza smarrire la traiettoria, avrebbe vinto il Palio.
Nella piazzetta, accanto alle giostrine e sulla linea di congiuntura tra l’estesa chiazza di sole e l’ombra cosparsa dall’alta facciata gotica di San Francesco, un citto lacrimò, altri esultarono. Lo sconfitto aveva visto il barbero della sua contrada rallentare dopo un piccolo sobbalzo e quella vittoria che sembrava vicina smarrirsi lontano, divenendo irraggiungibile: tutto questo in pochissimi secondi. Così il mondo stesso, con tutte le sue gioie e le sue bellezze sprofonda in un abisso che stranamente si apre nel profondo di noi, assumendo un nome, arcano ma tangibile: rimpianto; subito sostituito da un altro, chiaro, inequivocabile: dolore.
Il citto se ne tornò a casa, dolente e coi rimpianti, nelle orecchie lo schiamazzo dei vincitori. Il perdente è uno, è solo. I barberi con cui si era giocato non erano i suoi; una volta a casa andò a prendere i propri e li schierò, avendo fatta una nuova estrazione.
Trattandosi di una corsa successiva, non era più il Palio di luglio, ma quello di agosto, e la sua contrada vi partecipava di diritto. Simone sollevò fra le dita il barbero che la rappresentava, e i vividi colori ne scintillavano alla luce della finestra: il simbolo gli parve sorridesse; lo invocò per nome, poi disse:«Ora devi vincere. A luglio t’è toccata una mala sorte e a me pure: ora l’abbiamo da avere buona! Io devo correre fuori in strada a gridare che hai vinto. E anche la Madonna ci faccia il favore, ché non Le piace veder piangere un bambino».
Simone fece partire i barberi sulla pista domestica. In pochi istanti avrebbe avuto la sua vittoria.
Testo: Andrea Laiolo
Illustrazione: Riccardo Manganelli
Andrea Laiolo nasce ad Asti nel 1971. Si laurea con una tesi sulla valenza scenica del verso alfieriano, vincitrice del Premio Alfieri nel 1999. La sua prima silloge poetica è del 2004, seguita da altre, le ultime delle quali sono Aurea Ora (Bertoni 2021) e Nella schiusa rosa dei venti (Controluna, 2023) che contiene anche testi di Mario Marchisio e Bartolomeo Smaldone; ha inoltre pubblicato testi teatrali e vari interventi saggistici. Del 2022 è I figli del mattino (Readaction Editrice), raccolta di racconti ispirati agli antichi pittori della Scuola Senese e alle loro opere: il più recente pannello appartenente a un lavoro letterario che ha avuto fin dall’inizio la città del Palio tra i suoi principali oggetti, e già sfociato in una raccolta poetica interamente dedicata: La città della Festa, Achille & La Tartaruga, 2016).