Nicoló, Duccio e il senso delle cose: Ci vediamo alla Croce del Travaglio

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Elena ripone il telefono nella borsa semichiusa, alza la testa e mi cerca sotto i cappotti che passano e si incrociano nelle tre direzioni. “Facciamo un giro, stasera?” ci siamo detti al telefono qualche ora fa. “Certo, dove?” “Un giro”, e ha aggiunto “ci incontriamo alla Croce del Travaglio”.

Ogni Natale torniamo, ogni Natale ci rincontriamo. Da stazioni differenti, entrambi saliamo su un treno che dopo ore di fermate giunge il 24 a Siena. Darsi appuntamento a passeggiare fra le strade che ci hanno visto crescere fa sì che i mesi trascorsi fuori si incontrino con ciò che di radicato è rimasto. Partiamo senza meta, trasportati da un presente che richiede lunghi racconti per conoscere la vita dell’altro, per poter poi parlare del più e del meno. Ci incontriamo per perderci, in strade e discorsi.

La Croce del travaglio è il punto di partenza, apripista a uno spettro di direzioni possibili pressoché infinito: Banchi di sopra, Banchi di sotto, Via di Città, Piazza del Campo. Da lì, le calorie dei dolci di Natale e due vite che pretendono aggiornamenti per riuscire a toccarsi ci trasportano da una Porta all’altra, dentro le mura e fuori, a Nord della città fino a Sud.

 

 

Stasera aspettiamo a prendere il via. La mente si concentra spesso su dove andare, più raramente sul punto di partenza. Slegati dall’abbraccio, Elena mi domanda: “ma te lo sai cosa c’è adesso, dietro le Logge della Mercanzia?” Non lo so, no. Ci avviciniamo. Dai pilastri larghi e imponenti le statue sembrano tener d’occhio i viandanti e indicare loro, bibbia alla mano, la direzione da prendere. Dietro le inferriate leggiamo sulla facciata del palazzo la scritta in stampatello: GLI UNITI. Elena estrae di nuovo il telefono dalla borsa. È inammissibile, dice salendo sui gradini di marmo della loggia, che questi posti così conosciuti ci siano sconosciuti al contempo. “Non ci puoi credere!” esclama, gli occhi che corrono fra le volte affrescate d’allegorie e una pagina di Wikipedia. “Cosa?” le rispondo annoiato. Le mie gambe fremono per partire, per sapere non della città ma di lei. “E’ il circolo per gentiluomini più antico del mondo!”

“Ah sì” pian piano conquista il mio interesse, alzo anch’io lo sguardo alle foglie d’acanto dei capitelli. “Fondato nel 1657. Le donne, ancor oggi, non possono accedere”. “Incredibile. Ma te ci hai mai visto qualcuno?”
“No”. “È sempre vuoto”. “I soci possono essere cento” – continua a scorrere col dito lo schermo del telefono – “non di più. Anche non senesi, basta che abbiano un’affiliazione con Siena”.

Uno degli argomenti su cui ci dilunghiamo a parlare sono le potenzialità che Siena ha e non sfrutta. I luoghi d’incontro, cenacoli culturali e sale musicali che la nostra immaginazione, davanti a palazzi d’epoca dalle persiane chiuse, sogna d’allestire. “Non è che non ci sono, i posti” – continua Elena, scendendo dal gradino marmoreo e iniziando a scaldare le gambe – “È che sono nascosti, è che sono per pochi”. “Per uomini, ricchi e che hanno sorpassato la mezza età” aggiungo, con un velo di sconforto.

Ci incamminiamo, per la prima volta dopo anni in silenzio. Note d’estraneità nella melodia di casa ci fanno provare a tratti amarezza e meraviglia.

 

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci